Signò acalate ‘o panaro
La umana ricchezza della vita dei vecchi cortili....
Articolo di Lorenzo Di Donato
Il canestro, ‘o panaro, è stato il polivalente ed efficiente montacarichi
della mia infanzia.
Abitavo in un appartamenti al secondo piano del palazzo del n°81 di via G.B.Vico,
naturalmente privo di ascensore (e ne è ancora privo). Per le numerose necessità
della famiglia ‘o panaro - legato ad una cordicella che permetteva di
farlo scendere lentamente, acalare , fino al livello della strada o del
cortile- era veramente un toccasana in quanto evitava di salire e scendere le
scale molte volte al giorno.
In quel tempo ….Mbè, lasciamo stare!
Nel cortile di buon mattino passava il lattaio con un triciclo su cui
trasportava più bidoni di latte. Alla voce, ‘o latte freeeesco!, le mamme
acalavano ‘o panaro con la bottiglia vuota e i soldi del latte e
ritiravano poi la bottiglia una volta che il lattaio l’aveva rimessa nel panaro
riempita di latte. Quando poi furono messe in commercio le bottiglie di latte
confezionate, si ponevano nel canestro sia la bottiglia ricevuta il giorno prima
sia il costo del latte del giorno e si ritirava, poi, sempre c’ ‘o panaro,
la bottiglia piena di latte.
Verso le dieci veniva il postino, con il suo borsone pieno all’inverosimile di
corrispondenza, e, dopo averla distribuita a quanti erano nel cortile,
incominciava a chiamare gli altri destinatari. Se chiamava anche il nostro nome,
‘o panaro veniva nuovamente acalato giù e poi ritirato con la
corrispondenza. Le signorinelle in attesa di lettere…compromettenti andavano
incontro al postino o avevano accordi con lui per avere la lettera senza che
altri lo sapessero!
In mattinata passava il venditore ambulante di spille, spille da balia, aghi,
molle pe’ mutande molle pè vrachiere, e altre piccole cose. E con lui si
contrattava dal terrazzo e l’affare andava in porto se si concludeva con
l’esclamazione del venditore “Signò, va bbuono, acalate ‘o panaro!”,
quasi una resa all’altrui volere. E così ‘o panaro veniva acalato
con i soldi pattuiti e sagliuto con quanto acquistato, di cui subito si
constatava la integrità e la corrispondenza con quanto richiesto e pattuito. Se
ciò non era, o appariva all’acquirente, sorgeva una disputa animata tra questo/a
e il venditore e ‘o panaro poteva fare anche più volte ‘u sale e
scinne con grande divertimento degli astanti, che poi, del fatto, avrebbero
dato nella giornata tutte le versioni possibili, a cui non erano estranee la
simpatia o antipatia che godeva il/la signore/a di sopra, come erano
generalmente appellati quelli dei piani più alti del palazzo.
Nella bella stagione era immancabile la venuta del suonatore di fisarmonica, o
di violino, o di clarinetto o di pianino napoletano
Per chi non lo sapesse, il pianino napoletano ha la forma di un pianoforte
assicurato ad un carrettino per essere trasportato a mano di piazza in piazza,
di strada in strada, di portone in portone. All’interno ha un carillon capace di
riproporre le più belle canzoni napoletane facendo ruotare il cilindro con una
manovella a mano, poche volte con un meccanismo a molla. Non ne vedo in giro e
non ne ascolto il suono caratteristico da parecchio tempo: forse è ora uno
strumento da museo.
Dopo aver suonato due o tre canzoni napoletane, il suonatore lanciava il suo “Signò,
‘a musica!” sia a quanti si erano affacciati a balconi e finestre, sia a chi
si era tenuto dietro le tende o le veneziane per non essere in obbligo col
suonatore.
Direte:”E cosa c’entra ‘o panaro?”.
Non c’entrerebbe, è vero, se mia madre ogni volta non ci mormorasse decisa: ”Acalatele
doie sorde, c’ ‘o panaro, sennò chille s’adda chinà! E nun sta bene!”. E il
suonatore prendeva i due soldi e si cavava il cappello dicendo ad alta voce “Signò,
grazie!”. Aveva capito la cortesia o ce l’aveva con … gli imboscati?
E poi, d’estate, quando il sole incominciava a diminuire di intensità e tutto
indorava e ancora tutto infuocava nell’afa , che gioia quando, alla voce che
saliva dalla strada “‘e pollanchelle cavore cavore!” o, all’altra, “’a
rattata c’ ‘a menta,…c’ ‘o llimone, …c’’amarena! Refrescateve!” , o alla
caratteristica “’e nucelle americane! Mangiateve ‘o spasso!” e all’altra
ancora “‘e fiche fresche! ‘a purtate zì prevete ‘a Casolla!”, mamma,
guardando il desiderio e già la festa nei nostri occhi, ci ordinava sorridendo:
“Iate a piglià o panaro!”. Mai suo ordine fu più prontamente eseguito.