Medico di famiglia e medico condotto
Medici e medicine d'altri tempi...
Articolo di Lorenzo Di Donato
Il passato ritorna, prepotentemente, quando meno te lo aspetti:
basta un niente, a volte, per trovarti in un altro tempo, in un altro spazio;
l’immagine che si è formata e fermata nella tua mente ti strappa un sorriso, a
volte amaro a volte gioioso, oppure un dolore al cuore, qualche volta alleviato
da un moto di tenerezza e da una lacrima, a volte così violento da lasciarti per
un attimo stordito.
Stamattina ero seduto davanti alla scrivania del mio medico di famiglia, che era
tutto intento ad inviare all’INPS, col computer, il certificato medico di un suo
paziente. “Professò, un attimo solo e sono a voi”, mi ha salutato il dottore
mentre si destreggiava tra i suoi appunti, il mouse e la tastiera mentre lo
sguardo era incollato al video. Dopo qualche tentativo ha abbandonato la piccola
impresa perché l’ufficio competente non accettava il messaggio in quanto privo
del CAP di dove abitava il paziente e che il dottore ignorava.
Ho chiesto allora al mio dottore, in verità anche divertito, quando avrebbe
iniziato ad inviare le ricette alle farmacie tramite computer e lui mi ha
informato che fra breve lo chiameranno per partecipare al relativo corso
d’istruzione.
Proprio in quel momento ho avuto la visione delle visite mediche di tanti anni
fa, diciamo settanta anni fa, quando io “vivevo in un altro mondo”, come uso
dire tra il serio e il faceto.
Se uno della mia famiglia non stava bene per alcuni giorni, ci si rassegnava a
“chiamare” il dottore. A casa non c’era il telefono, naturalmente, e quindi il
mio fratello più grande riceveva l’incarico di andare dal medico di famiglia,
allora detto medico condotto, per informarlo della necessità di una visita
medica domiciliare al familiare ammalato.
A quel tempi il medico condotto, pur mal ricompensato dal Municipio con uno
scarso stipendio, faceva l'internista, il dentista, l'ostetrico; eseguiva anche
medicazioni e piccoli interventi; doveva sempre essere reperibile e disponibile
sia di giorno che di notte; non aveva “chiusura nei giorni festivi e
prefestivi”, non essendoci allora “guardie mediche notturne e festive” altre
cose che a volte ci rendono difficile la vita.
Così il medico condotto diventava quasi “uno di famiglia” ed, oltre alle sue
capacità professionali, era capace di spendere sempre una parola buona di
conforto e di bontà, molte volte più efficace di molti farmaci, coi bambini come
con gli “anziani”, che a quei tempi si chiamavano “vecchi”.
Dopo aver visitato l’ammalato, sull’inevitabile invito di un genitore, il medico
faceva anche al resto della famiglia una sommaria visita di controllo. Noi figli
venivamo chiamati nella stanza dell’ammalato ed il dottore, tra il burbero e il
divertito, ci ordinava di “metterci in fila”. Guardava attentamente negli occhi
di noi bambini per vedere se avevamo l’itterizia; controllava le nostre lingue
in bella mostra per controllare lo stato di salute delle nostre viscere; si
faceva dare un cucchiaio per controllare se la gola era arrossata ed infine dava
uno sguardo attento alle nostre mani per controllare se avevamo la scabbia. Le
mani non troppo pulite erano sottolineate da un piccolo scappellotto; una lingua
non pulita comportava l’assunzione di una pozione di olio di ricino; una gola
infiammata comportava la prescrizione di pennellate di iodio; il sospetto della
scabbia veniva fugato da uno o più bagni in acqua con zolfo in soluzione; una
piccola anemia veniva sanata da pillole di olio di merluzzo; il bimbo più
piccolo, la mia sorellina Vincenzina, riceveva una carezza ed…una caramella!
Poi il dottore passava alla scrittura delle ricette: dal taschino della giacca
tirava fuori una penna col pennino Cavallotti protetto da un pezzetto di carta
avvoltolato a guisa di cappuccio; da una tasca il ricettario e dall’altra un
piccolo calamaio d’inchiostro. Dopo aver tolto il coperchio, affidava al ragazzo
più grande il compito di reggere il calamaio. E’ toccato anche a me reggere il
calamaio al dottore e ne andavo fiero! Quindi intingeva la penna
nell’inchiostro, scuoteva sul calamaio l’eventuale eccesso di inchiostro e
scriveva le ricette. Poi tirava fuori una piccola carta assorbente e la stendeva
sullo scritto perché non sbavasse. Se non aveva la carta assorbente e
l’inchiostro non si asciugava soffiandoci sopra, chiedeva un pizzico di cenere-
che allora, tra fornelli e stufe in funzioni, non mancava mai- e lo spargeva
sullo scritto per poi far volare via la cenere con un ben assestato soffio
d’aria.
Prima di andar via diceva un tranquillizzante: “Domattina vengo a vedere le cose
come vanno”, per poi dire, rivolto a mio padre: “Marescia’, come vanno le cose?”
. Seguiva la consueta risposta: ”Dottò, voi lo sapete. A me basta la Magnesia
san Pellegrino o un bicchiere di citrato!”.
Difatti mio padre, quando “sentiva” lo stomaco, passava dalla Farmacia D’Errico,
sul Corso, all’incirca dov’è l’agenzia di viaggi Avion Travel, e chiedeva un
bicchiere di Citrato e magnesio o di Magnesia san Pellegrino. Il farmacista
finiva di preparare pillole e pozioni –come mi affascinava il suo lavoro alla
bilancia di precisione protetta dalla custodia di vetro attingendo gli
ingredienti dai contenitori posti lungo gli scaffali! - e versava il preparato
richiesto in un bicchiere d’acqua, agitava il tutto con un cucchiaino e lo
consegnava a mio padre, che, a piccoli sorsi, beveva la soluzione mentre col
farmacista commentava gli ultimi avvenimenti casertani.
Io mi facevo dare dal dottor D’Errico la scatolina della Magnesia San
Pellegrino, perché la usavo come contenitore di pennini e gomme per cancellare.
Altri tempi, vero?