Una terra ferita nel profondo
Un autorevole contributo alla provocazione del prof. Giorgio Anisola
Articolo di Marinella Carotenuto
Ho letto, su Casertamusica, l’editoriale di Giorgio Agnisola dal titolo “Lo
sguardo ferito”. Poi l’ho riletto. E intanto dentro di me dialogavo col suo
autore, come faccio sempre quando ho davanti una pagina intelligente e quindi
stimolante. Lo so che tecnicamente questo non è un dialogo ma come tale lo vivo,
e comunque non è questo il punto.
Il punto è che - pur condividendo in pieno il grido di dolore di Agnisola,
profondo e sofisticato come sempre – mi trovo a dissentire dall’assunto di
fondo. Perché lì dove i cumuli di immondizia sono scomparsi, e da qualche parte
così è, il mio sguardo è ugualmente ferito. Proprio da quella normalizzazione.
Che tutti sappiamo essere apparente e che basta però a tacitare sconcerto e
indignazione di quanti, fra noi, e mi sa che sono tanti, sono pronti a chiudere
occhi e orecchi e naso pur di non guardare in faccia la realtà. Che è quella di
una terra ferita nel profondo, inquinata fin nelle sue viscere: vitigni e
agrumeti e uliveti malati dentro, contaminati in forma così massiccia da essere
forse irreversibile. Una terra avvelenata. E allora, Giorgio, non è preferibile
continuare a vederli dappertutto, i cumuli di immondizia, sentirne l’oltraggio e
l’odore insopportabile anzicché sopportare una finta normalità e magari – per
stanchezza, per assuefazione, per un bisogno di consolazione - convincersi che
sia vera? E di conseguenza smettere di indignarsi, di sentirsi feriti? “Fare
l’occhio all’ambiente deturpato” - come scrivi - è un rischio reale, e fai bene
a ricordarlo, ma è altrettanto pericoloso accontentarsi di quello che l’occhio
vede e la ragione smentisce.
Mi spingo a dire che sarebbe il caso di organizzare visite guidate, soprattutto
scolastiche, che so, al “panettone” dello Uttaro: altro che grotte di Pertosa o
Barcellona (delle quali peraltro, diciamocelo, ben poco di artistico e formativo
gli resta, ai ragazzi), un’intera giornata a contemplare quella montagna che è
tutta opera nostra, monumento a quello che siamo. Che siamo diventati. Non è una
provocazione: la provocazione è vivere senza raziocinio e senza legge. Senza
cuore e senz’anima. Hai ragione, è tutto il nostro Occidente che deve cambiare
rotta e il primo passo non può che essere il ricomporre la frattura fra etica ed
estetica. Ma hai anche un po’ torto. Perché qui nulla è come nel resto del
nostro Occidente: quanti altri di quei “panettoni” ci sono in giro (giusto per
rimanere nell’esempio, perfetto archetipo nel suo genere), e dov’è che stanno?
Con stima e amicizia, verso te e Casertamusica.