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Lo sguardo ferito

Editoriale del 18 Ottobre de L'Avvenire

Articolo di Giorgio Agnisola

Non solo un danno ecologico, economico, turistico ha comportato l’emergenza rifiuti in Campania, ma anche un danno meno rilevante in apparenza, più intimo, psicologico ed emotivo: un danno allo sguardo.
Percorrendo le vie ordinarie e le autostrade della regione si legge il degrado non solo degli ambienti urbani, ma dello stesso paesaggio. Le campagne sono sporche, visibilmente inquinate, disseminate di detriti. Vi sono zone presso Napoli, lungo le arterie d’accesso, in cui per chilometri la strada è ancora una trincea di rifiuti, alta, maleodorante, stabile barriera allo sguardo.
I campi coltivati della Campania Felix, i filari di pioppi con i vitigni disposti a schiera, gli agrumeti e gli uliveti sono punteggiati di macchie biancastre, paiono colpiti da una malattia endemica che ha intaccato il tessuto epidermico e non solo della natura. Lo sguardo che fino a pochi anni fa spaziava sulle distese di verde inconfondibile di terre fertili e solatie, oggi vuole ritrarsi, resta come tradito nel suo aprirsi alla bellezza.
Forse un qualche argine al dilagare dei cumuli di spazzatura si troverà, ma chi toglierà quelle macchie nel bruno e nel verde dei campi? Molti residui si consumeranno, lavati e dispersi da piogge pietose, ma la plastica durerà per anni. A stigmatizzare il degrado, come un sigillo di inciviltà.
Ciò che più allarma, sconcerta, è il progressivo assuefarsi al brutto. Col trascorrere del tempo, l’ambiente deturpato sembra entrare nell’ordinario. La gente ci fa l’occhio e non vede. Il degrado fisico, naturale, diventa degrado spirituale.
Ciò accade in Campania, terra di recente indubbiamente sventurata, ma è rilevabile in numerose regioni del Sud e non solo. Presto o tardi, per molte e diverse ragioni, potrebbe riguardare il nostro Occidente, se non cambiamo il modo di consumare, di conservare, di smaltire, di vivere. Stiamo sciupando la natura e non solo materialmente, ma anche visivamente. Ciò che essa ha rappresentato esteticamente, spiritualmente, testimoniato da tanta arte, da tanta indimenticabile letteratura, oggi, in molte parti del mondo, sembra non avere più senso.
Non si pensi ad un eccesso di sensibilità. Vi sono indubbiamente preoccupazioni più pressanti.
Eppure tutti sanno quanto uno sguardo sereno possa far bene, come la bellezza di un ambiente curato possa corroborare l’anima, generare pienezza interiore, restituire profondamente il senso di un’ appartenenza.
La nostra casa non è solo la nostra abitazione, ma anche la nostra città, il nostro territorio, ed anche il nostro paesaggio, quello in cui si sono alimentati negli anni i nostri sguardi e anche i nostri sogni, in cui si è edificata la stessa città dell’uomo. In cui ancora sarebbe possibile cogliere il segno di una bellezza interpretata nel raccordo profondo tra il vedere e il sentire, in cui il finito si lega all’infinito. Lo stiamo rovinando, il paesaggio, e con esso rischiamo di rovinare anche la nostra anima.
Giorgio Agnisola
 

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