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Caserta, 17 Maggio. I vestiti sono bellissimi. Con i colori sgargianti, che
sanno di terre lontane. E i volti pure. Pieni di luce. Le donne africane rubano
gli sguardi. Ma ci sono anche le ragazze dell’est, che riconosci dai sorrisi
timidi. E, come in crescendo, ci sono gli occhi brillanti delle suore. Sono
venute da Vicenza. A festeggiarla. E poi ci siamo noi, tanti, tante, della
città. Per amicizia, curiosità, rispetto. Nel Vescovado, giovedì 17 Maggio,
c’è finito un pezzo di mondo. Gli accenti del nord e quelli del sud si
confondono, si salutano con i baci le vecchie conoscenze e con cordialità le
facce di quelli che mi sembra di conoscerlo ma non so dove l’ho visto. A
festeggiare Suor Rita che, con tutto quello che fa, ha trovato anche il tempo
di scrivere un libro: "Non più schiave. Casa Rut, il coraggio di una
Comunità", Marlin edizioni. Un libro doloroso e viale, che racconta la
storia di Casa Rut e le storie che nella Comunità si sono intrecciate. Correva
l’anno 1995. “Le suore con la bicicletta, così erano chiamate le Orsoline
all’inizio” racconta commossa Lidia Luberto che ha aperto la serata. Tra le
suore in bicicletta sgambettava anche Suor Rita che ha aperto un centro di
accoglienza per le donne immigrate. Un impegno quotidiano, in dialogo faticoso
con le istituzioni e con la città, chiamata a farsi essa stessa spazio di
accoglienza. “Bisogna mettere sulla pelle la camicia dei poveri” - ha
detto Giuliana Martirani, presente all’incontro - “Un giorno il Signore ci
rovisterà il guardaroba, e vedrà cosa abbiamo importato e cosa abbiamo
esportato, quello che abbiamo preso e quello che abbiamo dato”. Una
metafora vestimentaria per indicare un modo speciale di entrare in relazione
con gli altri. Ed è lei che, si racconta nel libro, ha dato l’idea di metter su
bottega a Casa Rut e di aprire una cooperativa di lavori femminili, divenuta
poi la NewHope. E dei modelli di missione al femminile ha parlato anche il
vescovo Nogaro, da Simon Weil a Madre Teresa, le donne sanno dare dignità
perché vedono in ogni volto che ha bisogno il volto del proprio figlio, del
Figlio. “Ma bisogna ricordare anche quello che questo libro non dice”,
puntualizza Sergio Tanzarella, “Mancano le amministrazioni locali, sembra
che sia stato scritto in una terra di nessuno, proprio come molti di noi
occupano una terra abbandonata”. C’è un passaggio del libro in cui Suor
Rita racconta di aver regalato al Presidente della provincia e al Presidente
della regione un grembiule realizzato dalle donne della Comunità. Un grembiule
per poter lavorare concretamente, liberandosi dalle logiche di potere, finanche
del potere sulle coscienze. Un grembiule, lo stesso che don Tonino Bello si
augurava dovesse essere indossato dalla Chiesa, che non è stato utilizzato
dagli amministratori, ma che dà conto del modo di intendere il servizio a casa
Rut. Non già semplice assistenza, ma impegno concreto. E’ lei a chiudere la
serata raccontando dell’amore, della passione della vita: “Più senti di dare
vita all’altro, più la tua vita rifiorisce. Ed è un’esperienza stupenda
generare vita. Proprio per questo oggi c’è bisogno di relazioni libere e
liberanti tra uomo e donna”.
“Dov’è tua sorella?” chiede il vescovo nella sua lettera al fratello cliente –
letta da Pierluigi Tortora. “Tu fratello cliente sai bene dov’è tua sorella,
sai bene dove sono le tue sorelle! Sono là sulla strada, sia quando il freddo
penetra la carne, sia quando il sole brucia la pelle. Sono là ad aspettare il
tuo arrivo…”. L’esperienza personale di Suor Rita, nella commozione felice
della serata, racconta che solo l’incontro con l’altro, con l’altra, permette
poi di mettersi in gioco, di aprirsi e di cambiare. Ed è chiaro, anche se
nessuno l’ha detto, che tutto questo richiede soprattutto autenticità,
sincerità. Non si può non essere se stessi, non si può barare di fronte alla
sofferenza. |
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