Massimo Cacciari: La maschera della tolleranza

Caserta - 6 Ottobre 2006

Articolo di Arianna Quarantotto


Si è svolto venerdì 6 ottobre, nella Cattedrale di Caserta il primo di una serie di incontri organizzati dalla Diocesi e aventi come tema “Le radici culturali dell’Europa”.
A relazionare è Massimo Cacciari e, come accade già da diversi anni, la Cattedrale è gremita. Caserta manifesta così la sua stima e il suo affetto per il filosofo veneziano.
La conferenza ha per titolo: “La maschera della tolleranza”. Ad aprire l’incontro c’è Pierluigi Tortora con la lettura di tre lettere indirizzate all’imperatore romano Valentiniano II, due di Ambrogio, l’altra di Simmaco. Poi il commento di Cacciari.

Il discorso ruota intorno al concetto e al significato di tolleranza a partire dalla diatriba nata proprio tra Ambrogio e Simmaco che sottopongono all’imperatore il problema della risistemazione della Ara della Vittoria nella Curia romana. Di fronte all’ara e alla statua della dea Vittoria, introdotta nella Curia Iulia da Augusto nel 29 a.C. i senatori prestavano giuramento di fedeltà alle leggi. Dopo alterne vicende, nel 357, Costanzo II, imperatore cristiano, ordinò la rimozione dell’Ara.
Giuliano l’apostata, più tardi, la ripristinò. Al tempo di Ambrogio regnava Valentiniano II, cristiano filo ariano, ed è a questi che Simmaco, portavoce dei senatori e prefetto di Roma, lesse la sua III Relatio, intesa a ripristinare il culto della dea Vittoria in Senato. Ad essa immediatamente seguirono le Epistole 17 e 18 di Ambrogio.
Dalla Relativo di Simmaco e dalle Epistole di Ambrogio emergono due modi di vedere e di concepire la religione.

Ambrogio affronta il concetto di religione nell’ottica romana. Per i Romani la religione è tutt’uno con le usanze e le tradizioni tipicamente romane: è "religio civilis". Per lui, invece, la religione cristiana non si identifica con quella civilis: è superiore e dominante rispetto alle istituzioni. Per la prima volta si afferma la superiorità dell’autorità religiosa nei confronti dell’imperatore.

Simmaco non comprende il senso del discorso (rivoluzionario, aggiunge Cacciari) di Ambrogio, e non può accettarlo in quanto egli parte da una peculiarità della religiosità romana, cioè la "pax deorum": i Romani invocano sempre la pace degli dei e tra gli dei affinché essi costituiscano il Pantheon. I cristiani, invece, hanno rotto questa pace e sono eretici dal momento che si sottraggono al Pantheon, rifiutano cioè la religio civilis.
A questo punto allora Simmaco invoca un atteggiamento che oggi definiremo di tolleranza. L’imperatore al quale si rivolge è cristiano, ma a lui chiede di essere pietoso (si pensi al significato della pietas romana e virgiliana), di venerare i segni dell’antico, di aver rispetto della consuetudine.
In effetti Simmaco chiede all’imperatore la dissimulatio, di far finta di non vedere. Gli chiede cioè di sopportare, dissimulare, di fingere di ignorare il simbolo pagano dell’Ara.

Ma Ambrogio sa che il simbolo è ancor più importante di un principio, è la forza della rappresentazione politico-religiosa, per cui la tolleranza, intesa come dissimulazione, non è ammissibile.
Lo scontro è dunque tra una Roma vecchia, sedentaria, legata al passato, “superstiziosa”, quella di Simmaco; e quella nuova di Ambrogio, che crede in un tempo di rinnovamento, nella novitas. Solo la nuova Roma, quella fondata sulla nuova religio, potrà portare ad un imperium sine fine e dunque a progredire. Di qui anche una nuova visione del tempo, un tempus novum che matura in meglio. Solo con la traslatio imperii Roma potrà vivere e sopravvivere nel tempo: ed è così che Ambrogio conclude la sua lettera, trasferendo il primato di Roma alla Chiesa.

Chi dei due ha ragione? si chiede Cacciari. L’intollerante Ambrogio che sostiene con fermezza le sue idee, o Simmaco che all’imperatore chiede di far finta di niente, di non vedere, di lasciar correre? (tolleranza = dissimulatio).
Cacciari sostiene (e noi con lui) che oggi la tolleranza ha finito per essere espressione di debolezza, di impotenza, di incapacità, di relativismo. Se la nostra tolleranza aspira ad essere un valore, non può assumere la maschera dell’impotenza. Se sono convinto delle mie idee non posso simulare: solo un organismo debole può usare in questo senso la tolleranza.
La tolleranza, del resto, non può essere neanche scetticismo o indifferenza che porta a ritenere che le varie posizioni, in fatto di fede, sono equivalenti. L’indifferenza per il confronto genera, secondo Cacciari, il relativismo di valori. Ed è ciò che ha fatto per certi aspetti l’Illuminismo e in particolare Voltaire che ha affermato, in definitiva, come unico valore quello della scienza.

Purtroppo, afferma Cacciari, il conflitto di valori è connesso inesorabilmente al nostro esserci. L’uomo produce e riproduce valori e così dà senso al suo agire. Quindi i conflitti si riproducono.
Il problema – continua - va spostato sulla via d’accesso all’UNUM divino, a cui ogni religione aspira.
La via per Ambrogio è Logos e il Logos è Dio. Per Ambrogio e per i cristiani la via è stata rivelata da Dio e pertanto è conosciuta. Ai pagani, invece, questa via è sconosciuta e per questo motivo essi ne accettano più di una, il vario Pantheon, per approdare al divino.

Il filosofo veneziano sostiene che ognuno di noi deve sentirsi in relazione con gli altri: pertanto tolleranza significa riconoscimento di una ricerca di Dio che accomuna le varie fedi e pone in relazione gli uomini. Tollerare significa in sostanza “rispettare”.

Sarebbero state tante le domande da porre a Cacciari. I tempi però si sa, sono sempre ristretti. Mi sarebbe piaciuto chiedergli una definizione meno accademica di rispetto. Se io rispetto l’altro e l’altro non rispetta me cosa faccio? Tollero, nel senso che abbandono le mie certezze in nome di un buonismo (che poi proprio Cacciari ha criticato)? oppure il rispetto si trasforma in scontro se tra le due parti non si riesce ad arrivare ad un dialogo?

Mi ha lasciato infine perplessa, confesso, la posizione del Vescovo Raffaele Nogaro che a commento e a conclusione del discorso di Cacciari, ha giudicato inconcepibile oggi la posizione di Ambrogio.
Cristo è figlio dell’uomo, ribadisce Nogaro, non dice mai nel Vangelo di essere figlio di Dio. Egli viene a portare la misericordia e non il giudizio. Cristo ama tutti, senza discriminare nessuno. Il problema, afferma, è che oggi la Teologia ha sostituito il Vangelo.

Sarebbe stato opportuno chiarire meglio il senso di queste ultime parole.

 

leggi Il linguaggio del Novecento: conferenze sulle radici culturali dell’Europa

 

Massimo Cacciari nella Cattedrale di Caserta - foto Pia Di Donato

 

 
 

 

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