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Si è svolto venerdì 6 ottobre, nella Cattedrale di Caserta il primo di
una serie di incontri organizzati dalla Diocesi e aventi come tema “Le radici
culturali dell’Europa”.
A relazionare è Massimo Cacciari e, come accade già da diversi anni, la
Cattedrale è gremita. Caserta manifesta così la sua stima e il suo affetto per
il filosofo veneziano.
La conferenza ha per titolo: “La maschera della tolleranza”. Ad aprire
l’incontro c’è Pierluigi Tortora con la lettura di tre lettere indirizzate
all’imperatore romano Valentiniano II, due di Ambrogio, l’altra di Simmaco. Poi
il commento di Cacciari.
Il discorso ruota intorno al concetto e al significato di tolleranza a partire
dalla diatriba nata proprio tra Ambrogio e Simmaco che sottopongono
all’imperatore il problema della risistemazione della Ara della Vittoria nella
Curia romana. Di fronte all’ara e alla statua della dea Vittoria, introdotta
nella Curia Iulia da Augusto nel 29 a.C. i senatori prestavano giuramento di
fedeltà alle leggi. Dopo alterne vicende, nel 357, Costanzo II, imperatore
cristiano, ordinò la rimozione dell’Ara.
Giuliano l’apostata, più tardi, la ripristinò. Al tempo di Ambrogio regnava
Valentiniano II, cristiano filo ariano, ed è a questi che Simmaco, portavoce
dei senatori e prefetto di Roma, lesse la sua III Relatio, intesa a
ripristinare il culto della dea Vittoria in Senato. Ad essa immediatamente
seguirono le Epistole 17 e 18 di Ambrogio.
Dalla Relativo di Simmaco e dalle Epistole di Ambrogio emergono due modi di
vedere e di concepire la religione.
Ambrogio affronta il concetto di religione nell’ottica romana. Per i Romani la
religione è tutt’uno con le usanze e le tradizioni tipicamente romane: è "religio
civilis". Per lui, invece, la religione cristiana non si identifica con quella
civilis: è superiore e dominante rispetto alle istituzioni. Per la prima volta
si afferma la superiorità dell’autorità religiosa nei confronti
dell’imperatore.
Simmaco non comprende il senso del discorso (rivoluzionario, aggiunge Cacciari)
di Ambrogio, e non può accettarlo in quanto egli parte da una peculiarità della
religiosità romana, cioè la "pax deorum": i Romani invocano sempre la pace
degli dei e tra gli dei affinché essi costituiscano il Pantheon. I cristiani,
invece, hanno rotto questa pace e sono eretici dal momento che si sottraggono
al Pantheon, rifiutano cioè la religio civilis.
A questo punto allora Simmaco invoca un atteggiamento che oggi definiremo di
tolleranza. L’imperatore al quale si rivolge è cristiano, ma a lui chiede di
essere pietoso (si pensi al significato della pietas romana e virgiliana), di
venerare i segni dell’antico, di aver rispetto della consuetudine.
In effetti Simmaco chiede all’imperatore la dissimulatio, di far finta di non
vedere. Gli chiede cioè di sopportare, dissimulare, di fingere di ignorare il
simbolo pagano dell’Ara.
Ma Ambrogio sa che il simbolo è ancor più importante di un principio, è la
forza della rappresentazione politico-religiosa, per cui la tolleranza, intesa
come dissimulazione, non è ammissibile.
Lo scontro è dunque tra una Roma vecchia, sedentaria, legata al passato,
“superstiziosa”, quella di Simmaco; e quella nuova di Ambrogio, che crede in un
tempo di rinnovamento, nella novitas. Solo la nuova Roma, quella fondata sulla
nuova religio, potrà portare ad un imperium sine fine e dunque a progredire. Di
qui anche una nuova visione del tempo, un tempus novum che matura in meglio.
Solo con la traslatio imperii Roma potrà vivere e sopravvivere nel tempo: ed è
così che Ambrogio conclude la sua lettera, trasferendo il primato di Roma alla
Chiesa.
Chi dei due ha ragione? si chiede Cacciari. L’intollerante Ambrogio che
sostiene con fermezza le sue idee, o Simmaco che all’imperatore chiede di far
finta di niente, di non vedere, di lasciar correre? (tolleranza = dissimulatio).
Cacciari sostiene (e noi con lui) che oggi la tolleranza ha finito per essere
espressione di debolezza, di impotenza, di incapacità, di relativismo. Se la
nostra tolleranza aspira ad essere un valore, non può assumere la maschera
dell’impotenza. Se sono convinto delle mie idee non posso simulare: solo un
organismo debole può usare in questo senso la tolleranza.
La tolleranza, del resto, non può essere neanche scetticismo o indifferenza che
porta a ritenere che le varie posizioni, in fatto di fede, sono equivalenti.
L’indifferenza per il confronto genera, secondo Cacciari, il relativismo di
valori. Ed è ciò che ha fatto per certi aspetti l’Illuminismo e in particolare
Voltaire che ha affermato, in definitiva, come unico valore quello della
scienza.
Purtroppo, afferma Cacciari, il conflitto di valori è connesso inesorabilmente
al nostro esserci. L’uomo produce e riproduce valori e così dà senso al suo
agire. Quindi i conflitti si riproducono.
Il problema – continua - va spostato sulla via d’accesso all’UNUM divino, a cui
ogni religione aspira.
La via per Ambrogio è Logos e il Logos è Dio. Per Ambrogio e per i cristiani la
via è stata rivelata da Dio e pertanto è conosciuta. Ai pagani, invece, questa
via è sconosciuta e per questo motivo essi ne accettano più di una, il vario
Pantheon, per approdare al divino.
Il filosofo veneziano sostiene che ognuno di noi deve sentirsi in relazione con
gli altri: pertanto tolleranza significa riconoscimento di una ricerca di Dio
che accomuna le varie fedi e pone in relazione gli uomini. Tollerare significa
in sostanza “rispettare”.
Sarebbero state tante le domande da porre a Cacciari. I tempi però si sa, sono
sempre ristretti. Mi sarebbe piaciuto chiedergli una definizione meno
accademica di rispetto. Se io rispetto l’altro e l’altro non rispetta me cosa
faccio? Tollero, nel senso che abbandono le mie certezze in nome di un buonismo
(che poi proprio Cacciari ha criticato)? oppure il rispetto si trasforma in
scontro se tra le due parti non si riesce ad arrivare ad un dialogo?
Mi ha lasciato infine perplessa, confesso, la posizione del Vescovo Raffaele
Nogaro che a commento e a conclusione del discorso di Cacciari, ha giudicato
inconcepibile oggi la posizione di Ambrogio.
Cristo è figlio dell’uomo, ribadisce Nogaro, non dice mai nel Vangelo di essere
figlio di Dio. Egli viene a portare la misericordia e non il giudizio. Cristo
ama tutti, senza discriminare nessuno. Il problema, afferma, è che oggi la
Teologia ha sostituito il Vangelo.
Sarebbe stato opportuno chiarire meglio il senso di queste ultime parole.
leggi Il linguaggio del
Novecento: conferenze sulle radici culturali dell’Europa |
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Massimo Cacciari nella Cattedrale di Caserta -
foto Pia Di Donato
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