(pubblicato l'8 Giu. 2006)Su espresso Ordine di Ferdinando IV di Borbone nel 1783 in terra di Lavoro
inizia un vero e proprio censimento sui costumi locali definiti come ''il
simbolo della identità di una locale comunità''.
Ferdinando aveva deciso di far riprodurre tutti i costumi del regno per fornire
le sue fabbriche di ceramiche di Capodimonte di un materiale illustrativo unico
e molto richiesto dalla committenza europea che tramite i diversi viaggiatori
aveva informazioni sulla particolarità del Regno di Napoli ed era fortemente
interessata ad averne memoria stabile e cimeli di qualità. Il compito di
documentare i costumi del regno fu affidato ai pittori Alessandro D'Anna e
Saverio Della Gatta, poi sostituiti da Berotti e Santucci, veri realizzatori
dell'impresa.
Le indicazioni fornite da Ferdinando, tramite un dispaccio al ministro della
Reale Casa, il marchese Domenico Venuti, precisavano che "non è di essenziale
precisione che scorrono ad uno ad uno tutti li paesi della provincia, basta
solo che si trasportino in quelli ne' quali la differenza del vestito sia
sensibile e che prendano ne' medesimi i lumi di quello che si costuma negli
altri".
L'impresa si rivelò ben presto difficile e faticosa, tanto che - come si è
accennato - sia Alessandro D'Anna che Saverio Della Gatta, i migliori maestri
che Ferdinando aveva a disposizione, nonostante l'ottimo "ingaggio" dovettero
ben presto rinunciare, sia per l'età avanzata che per le estreme difficoltà a
percorrere in lungo e in largo il regno, privo com'era di strade e di mezzi di
trasporto, oltre che insicuro, per via delle numerose bande brigantesche che,
dalla metà del XIII secolo, infestavano l'Italia meridionale.
Uno di questi bozzetti, 'la fanciulla di Sessa' è stato ritrovato in Francia
nel 1880. Una fedele riproduzione di questo costume è stata curata dal gruppo
folk 'L'Ariella' che lo usa nelle varie manifestazioni folcloriche in cui
partecipa.
Nel corso dei secoli il costume popolare sessano è in piena fase di
trasformazione; si arricchisce di nuove fogge, si rileva la ricchezza e la
festosita' dei colori, nonche' le differenze notevoli tra le vesti della
pianura, della montagna e di certe zone periferiche, differenze che si
attenuano nel tempo per raggiungere una certa uniformita' nel corso dell'ultimo
secolo, quando il costume popolare si avvia a scomparire.
In questo periodo nasce quindi il costume della Pacchiana, termine specifico
delle braccianti delle contadine del Sud che vestono con gli abiti
tradizionali. Quando si parla di pacchiano, nel gergo corrente, ci si rifà ad
un modo di essere e di vestirsi stravagante e appariscente privo cioè di quella
classe e/o di quel decoroso equilibrio che offende i canoni della bellezza
estetica.
Non è certamente il caso della "Pacchiana Sessana" che, nella originaria
etimologia, si rifà ad una concetto di pacchia, ovvero ad una manifesta voglia
di divertimento, di allegria, un miscuglio di odori e sapori, di canti e
tarantelle.
Oggi purtroppo il costume de "La Pacchiana", tipico di Lauro di
Sessa, non viene indossato più, se ne sono
perse le tracce circa venti anni fa, quando alcune donne di 'Paese' usavano
venire al mercato settimanale di Sessa acconciate con la tipica vestitura e
capigliatura da Pacchiana, fatta eccezione per alcune donne anziane che usano
indossarlo durante una rievocazione dal passato rendendolo un reperto vivente
storico, culturale, antropologico in continua evoluzione.
Originariamente esistevano due versioni dell'abito: quella giornaliera
(piuttosto semplice e quasi sempre di colore nero che rappresentava un lutto in
famiglia) e quella delle grandi occasioni, molto ricco di colore e ornato di
oggetti preziosi che si usava indossare al matrimonio o durante le ricorrenze
delle feste religiosi e civili.
Questo era caratterizzato da lunghe mutande ornate da un merletto lavorato a
mano e calzettoni bianchi; da una camicia di mussola bianca, abbellita da
merletto colorato; da un corpetto nero di velluto, chiamato "ippone" sul quale
veniva portata la 'scolla' ovvero una sciarpetta ornamentale; da un 'mantesino'
(grembiule di raso colorato), ricamato con fili dorati; da una gonna di velluto
o di raso plissettata, lunga fino al ginocchio, sotto la quale venivano
indossate più sottovesti; da una imbottitura (una sorta di cuscino) che si
usava mettere sui fianchi.
Le scarpe, adornate da nastrini potevano essere di varie tinte. Il costume si
componeva anche di un copricapo, che variava a seconda dei giorni: in quelli
festivi si usava 'la pannuccia', mentre quotidianamente venivano utilizzati il
'maccaturo' o la 'tovaglia' ricamata e resa rigida dalla inamidatura. La
'tovaglia" sovrastava delle trecce finte, portate a mo' di corona, che venivano
realizzate con capelli neri e trattate con il bianco d'uovo per fissarne la
forma.
L'oro costituiva un elemento fondamentale del costume. Arricchivano il costume
gli 'scioccagli' (orecchini), lo 'spingulone' (spillone) che serviva a fissare
la tovaglia ed il 'maccaturo' alle trecce e da molteplici fila di collane
d'oro.
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