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(pubblicato il 15 Apr. 2006)Questi benedetti “campetti”, come noi vecchi casertani chiamiamo Piazza Carlo
III, la piazza antistante Palazzo reale, sono da troppo tempo oggetto di
allarmate apprensioni per alcuni, di gustose annotazioni di costume per altri.
Lo scorso febbraio, come riporta il settimanale "Il Caffè" del 17 febbraio, le
Associazioni ambientaliste hanno inviato vibrate proteste per l’ipotizzato
sottopasso al Viale Dohuet capace di pedonalizzare la Piazza Carlo III, secondo
i loro ideatori.. Perché queste Associazioni non si sono mosse molto tempo
prima per me è un mistero, visto che il modello del progetto era in bella
esposizione da più una diecina d’anni nel Museo dell’Opera di Palazzo Reale.
Io, in verità, sono incavolato di brutto dello stato dei campetti, che dagli
anni sessanta dello scorso secolo hanno subito interventi manutentivi
approssimativi e continuamente variabili, se non contraddittori. Ora, dopo aver
posizionato in varie parti le nuove edicole costruite per gratificare il
turista in cerca di souvenir senza essere assalito dai rivenditori fino al
maestoso scalone degli appartamenti reali (ma lo scopo è stato veramente
raggiunto?), hanno fatto l’ennesima deturpante recinzione per dare definitiva
(?) sistemazione decorosa (?) ai campetti. Ma quando finirà questa “jacovella”?
Il mio malessere forse scaturisce dal fatto che ho tanti bei ricordi dei
campetti legati alla mia infanzia e giovinezza, ricordi che hanno sempre fatto
a cazzotti con i tentativi di sistemazione di essi quando alla fine degli anni
cinquanta dello scorso secolo la Reggia ha ricominciato a richiamare sempre più
numerosi turisti.
Durante la Seconda guerra mondiale parte dei campetti sono diventati orticelli
di guerra prima e terreno di pascolo, poi, per greggi di pecore. Non vi
meravigliate, perché io ricordo che, provenienti da san Nicola la Strada,
passavano piccoli greggi di pecore per via Vico, dove abitavo. Andavano di
cortile in cortile e il pastore che le guidava le mungeva in loco, e consegnava
il latte, caldo caldo, a chi ne aveva fatto richiesta. Il pastore, ed il suo
gregge, avevano affezionati clienti.
Ciò è ricordato anche in un articolo di Alberto Zaza D’Aulisio su "Il Mattino"
del 23 marzo scorso, e, inoltre, l’articolo è corredato da una foto del 1912 di
bovini al pascolo nei campetti.
Arrivati gli Alleati a Caserta, nel Palazzo reale fu insediato il Comando
Interalleato del Sud. Per i viali dei campetti sfilavano in marcia i plotoni
per il cambio della Guardia, sovente accompagnati dal suono di una fanfara,
anche di cornamuse. Queste, mai prima viste da noi ragazzini e ancor meno i
soldati …in gonnella, destavano la nostra ammirazione, così come i volteggi
delle mazze dei suonatori di grancassa.
Ma i campetti sono stati, per me e tanti altri casertani, anche palestra e
campo sportivo.
Intorno agli anni cinquanta dello scorso secolo, il Liceo Scientifico “A. Diaz”
era alloggiato nell’ala di Palazzo Reale con ingresso dai giardini della Flora
al termine di un lungo corridoio a cui si accedeva da via Cavallerizza. Chiedo
scusa: via Gasparri.
Naturalmente lì non avevamo palestra e nell’ora di Educazione Fisica, tempo
permettendo e dopo aver convinto il prof. Riccardelli, andavamo nei campetti a
…fare ginnastica, che si riduceva a tirare calci ad un pallone o una palla, il
più delle volte di carta o pezza. Per fare ciò, ci assoggettavamo volentieri a
scendere di corsa i 141 gradini ed a salirli di corsa, e che corsa!, per non
fare ritardo alla fine dell’ora di …Educazione fisica, altrimenti il buon
Riccardelli poteva avere una ramanzina dal preside Betti, poiché, non avendo la
nostra giovanile energia da consumare nel salire e scendere quei benedetti 141
scalini, non ci accompagnava ai campetti.
Con la primavera, i campetti diventavano anche il campo in cui si sfidavano a
pallone una squadra fatta da alunni casertani ed una fatta da alunni di Capua,
che noi casertani chiamavamo “capuanielli”, tra l’orario di uscita dalla scuola
e quello di partenza del treno per S. Maria C.V. e Capua. Erano sfide
all’ultimo…sfottò, con palle e palloni improvvisati, anche con la carta che
avvolgevano le colazioni dei capuanielli tenuta e compatttata in un vecchio
calzino. Naturalmente il campo di calcio era delimitato da linee immaginarie
contrattate prima della partita e, qualche volta, modificate nel corso di essa.
La porta era delimitata da due mucchi di cartelle e cappotti, per cui era
meglio segnare raso terra, altrimenti le contestazioni sulla validità della
rete erano inevitabili. Il fischio finale dell’incontro era quello emesso dalla
locomotiva a vapore del treno per Capua al suo ingresso nella stazione di
Caserta. Che corse per non perdere il treno!
Ma i campetti di Palazzo reale, e la “campagnella” che occupava l’area dove é
oggi la Scuola Media Dante Alighieri, in prossimità del campo sportivo, hanno
visto la nascita e gli allenamenti della squadra di calcio “The young man”
fondata da me e mio fratello Umberto.
La cosa partì in sordina, ma poi aderì alla iniziativa qualche buon giocatore e
ci procurammo anche delle magliette decenti, di seconda mano naturalmente.
Nella foto, anno 1950 nel campetto accanto al campo sportivo, Cicia, Monteleone,
Lucio Mazzitelli (portiere), Tonino Melchionna, Walter Flocco, i fedelissimi
accompagnatori Alfredo Crispo e Mario D’Argenzio, e altri di cui non ricordo
più i cognomi.
Umberto scelse il nome della squadra ed io ne fui nominato Presidente e
Capitano perché ero l’unico ad avere la possibilità di stampare, con la
macchina per scrivere del Distretto Militare in cui lavorava mio padre, i
“tesserini” dei nostri calciatori, con foto!, ad imitazione delle vere squadre
di calcio.
Famoso divenne lo “strausatissimo” nostro pallone, forse di quarta o quinta
mano, con bozze vistose e così mal rattoppate che nei colpi di testa correvamo
il rischio di rimetterci lo scalpo ed i rimbalzi sul terreno a volte erano
aleatori, a guisa di palla pazza. Perciò, appena potevamo, sfidavamo un’altra
squadra di ragazzi, la “Franco Tomassi”, col patto che si dovesse giocare con
il loro pallone, che era quasi nuovo.
Per inciso, Franco Tomassi divenne questore di Trieste. Che goduria per noi
della The young man poter calciare un pallone decente, anche se, per non
alienarci la simpatia dei tomassiani, ogni tanto rinunciavamo ad una possibile
vittoria.
Poi noi crescemmo ancora un poco, la campagnella fu recintata e vi si costruì
sopra, i campetti incominciarono ad essere malamente sistemati.
Ma mi sono rimasti nel cuore.
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La squadra di calcio “The young man”
I Campetti
Le "edicole"
foto © Casertamusica
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