15 Ottobre 2004. Il ministro dell’Economia e del Commercio libico, sig. Abdekader Elkkher, nei
giorni scorsi ha chiesto l’aiuto dell’Europa, ed in particolare dell’Italia,
perché il suo paese non rimanga il fanalino di coda del Mediterraneo, dove
anche telefonare da Tripoli è complicato. La Libia si attende i maggiori
investimenti nel turismo, a cui si è aperto da poco, in quanto dal turismo può
notevolmente incrementare l’occupazione e l’ammontare della valuta estera.
Il recente nostro viaggio in Libia nello scorso settembre ci ha confermato i
desideri e le speranze del Ministro, ma anche la lenta e guardinga apertura del
regime verso l’esterno, in quanto ci sembra che esso tema che i turisti possano
influenzare negativamente il modo di vivere dei libici. L’accompagnamento di
una guida e di poliziotti turistici (il nostro gruppo aveva due poliziotti
turistici) dall’arrivo in Libia alla partenza è previsto dalla legge libica:
salvaguardano l’incolumità dei turisti o sono attenti ad eventuali deroghe alle
usanze locali, come l’uso di bevande alcoliche, abbigliamenti troppo liberi,
foto di aeroporti, immobili militari, edifici governativi, etc.?
Se la stessa attenzione fosse prestata all’efficienza degli alberghi, che
vantano un numero di stelle maggiore di quello enorme che si vede nel loro
cielo e pari solo a quello degli onnipresenti ritratti del loro leader massimo,
oppure alla pulizia dei loro impossibili bagni, il viaggio in Libia sarebbe un
godimento assoluto, specialmente per noi italiani, che abbiamo sempre avuto
predilezione per quest’altra sponda del Mediterraneo.
Ma anche i libici nutrono tante palpabili simpatie nei confronti degli
italiani, nonostante che Gheddafi, per ragioni di politica interna, abbia per
anni additata l’Italia come una Nazione nemica, tanto da stabilire una giornata
in ricordo della cacciata degli italiani della Libia. E’ frequente sentirsi
apostrofare in Italiano non solo da persone anziane che fanno ricorso a lontane
familiarità con gli Italiani ma anche da giovani che hanno appreso l’Italiano
sui banchi di scuola o all’Università. e da meno giovani che hanno appreso
l’Italiano lavorando alcuni anni in Italia. “Noi e Italia così e così”, ci
diceva un libico a Tripoli, stringendo una sua mano con l’altra. Un
imprenditore italiano incontrato all’aeroporto ci diceva che i libici giudicano
buono quanto è italiano.
Ma gli antichi rancori per la nostra breve occupazione della Libia nella
prima metà del secolo scorso sono ancora da sopire se il magnifico ponte sulla
strada Bengasi-Susa, costruito da una impresa italiana, è stato intitolato ad
un ribelle-patriota libico che gli italiani impiccarono negli anni trenta.
Una città fantasma è la nuova Tolemaide. Fu costruita dagli italiani, ma è
in completo stato di abbandono ed è disabitata. E’ un vero peccato perché la
città, pur così polverosa e “sgarupata” ha ancora edifici stile anni trenta e
conserva ricordi notevoli della nostra presenza come le insegne di alcuni
negozi, vedi quella di un’officina meccanica con le insegne della Michelin, e
scritte in italiano (vedi quella inneggiante al canto della mitraglia, frutto
del Movimento Futurista e della propaganda fascista).
La nostra guida Khaleb, pur ben indottrinata dal regime, si rammaricava che,
mentre il cimitero militare inglese fosse ben tenuto, quello dei militari e
civili italiani sia fatiscente per il completo abbandono in cui è stato tenuto
in questi ultimi quarant’anni. Ha dimenticato di aggiungere quanto abbia in ciò
influito la speriamo passata non benevolenza di Gheddafi verso l’Italia.
La Tripolitania e la Cirenaica sono ricche di tracce degli antichi splendori
fenici, greci e romani, a cominciare da Tripoli, la “bianca sposa del
mediterraneo”, poco avendo lasciato di architettonico l’Impero ottomano se si
eccettuano le moschee. L’Italia moderna, invece, a Tripoli ha lasciato
l’impronta della sua architettura in molti edifici del centro, tra i quali
quello che ancora ospita l’Istituto di arti e mestieri, quella che fu la
Galleria del Bono, l’edificio che ospitò il Banco di Roma, ora in parte
trasformato, e la bella chiesa di Santa Maria degli Angeli, che ora ospita una
biblioteca, per citarne alcuni.
Il negozietto dell’albergo che ci ospitava vendeva cartoline illustrate di
Tunisi, che erano ristampe di quelle edite nel periodo di occupazione italiana
e quindi con scritte in italiano e le denominazioni delle strade e delle piazze
imposte dal nostro regime fascista: Galleria Gen. Del Bono, Corso Vittorio
Emanuele, il Banco di Roma e simili.
Il sorriso con cui, nella bella ed ampia Piazza Verde, quel giovane libico
ci ha accolto con il suo “Noi e Italia così e così” ed i rapporti più stretti e
sereni intervenuti tra i governi di Libia e d’Italia ci fanno sperare che il
Mare Nostrum possa diventare il Mare di pace e di amore.
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