Shangai, 5 Giungo 2004. Mi trovo nel ristorante girevole della Torre della televisione di
Shanghai, a 276 metri di altezza. Non riesco a gustare le
specialità del ristorante affascinato come sono dalla visione
notturna della città ai miei piedi. I grattacieli sono tutti
illuminati, sapientemente illuminati, in modo da individuarli con
facilità. anche in una la città come Shanghai che appare, di sera,
immersa in una caligine giallastra per uno smog che può essere
tagliare a fette. Un grattacielo ha tutte le luci spente, tranne le
grandi vele sugli ultimi terrazzi sì da apparire perciò come
quelle di un vascello fantasma che solca il cielo, anche per effetto
della lenta rotazione del ristorante della Torre. Un altro,
cilindrico, ha le luci accese per coste, lungo i suoi quaranta e
passa piani, e sul fiore di loto che lo sovrasta e termina sì da
apparire una colonna di un tempio egiziano. Laggiù un grattacielo
sembra una rampa di lancio di dischi volanti: l’alta torre termina
con un cappuccio a forma di disco volante che un sapiente giuoco di
luci sembra sul punto di prendere il volo. Altri due, più lontani,
sembrano due innamorati, legati come sono da mille festoni di luci
multicolore. Le lunghe strade e le infinite intersezioni delle
sopraelevate sembrano serpenti danzanti in amore mentre mille e
mille luci di auto in movimento li spolverano d’oro.
Questo è lo spettacolo che Shanghai offre la sera dall’alto.
E ugualmente affascinante è questa città di sedici milioni di
abitanti vista dal basso, lungo il Bund, il viale che
costeggia il fiume Huangpu, fiancheggiato da parchi ed edifici in
stile europeo costruiti tra la fine del XIX e XX secolo dalle
nazioni che avevano ottenuto concessioni e privilegi
extraterritoriali nonché dalle Banche e Compagnie per le proprie
sedi e propri commerci. E il piccolo paese di pescatori divenne la
più grande città commerciale e il porto più attivo della Cina.
Dopo difficoltà dovute all’occupazione giapponese ed alla
rivoluzione culturale, il governo cinese dagli inizi degli anni
ottanta dello scorso secolo ha favorito gli investimenti stranieri e
promosso lo sviluppo economico e urbanistico della città.
La guida del mio gruppo, giovane guida, ci dice tutta orgogliosa
che le case della vecchia città sono abbattute per lasciare posto
ai grattacieli, ai giardini ed alle necessarie infrastrutture. ”Un
grattacielo di trenta piani al mese per abitazione o per uffici!”
esclama. Operazione urbanistica forse indispensabile giacché la
città non può continuare ad espandersi in orizzontale. E tutto
diviene possibile in quanto non ci sono ostacoli a quanto viene
deciso dall’alto perché i cittadini cinesi, non esistendo la
proprietà privata, non sono possessori delle vecchie case.
La mia Cina, quella che pure avevo ritrovato, in un altro
viaggio, a Pechino- nella piazza Tien a men, nella Città Proibita,
lungo la Muraglia Cinese- e a Xian dai mille e mille guerrieri di
terracotta, che fine ha fatto? C’è ancora nella grande Shanghai?
O c’è rimasto solo quell’insieme di importanti collezioni di
bronzi, dipinti e porcellana ammirate nella fugace visita al Museo
di storia ed arte?
La mattina seguente andiamo alla ricerca della vecchia Cina
tuffandoci, nostro malgrado, in un traffico che è aggressivo e
disordinato in quanto ogni auto o autobus cerca di sorpassare
comunque quello che gli sta davanti, auto o autobus pubblico o
privato che sia, dopo scambi prolungati di energici e ripetuti colpi
di clacson, che hanno intensità sonora per noi europei inusitata. I
passaggi pedonali sono solo un disegno sulla carreggiata ed il
pedone che li vuole attraversare lo fa sempre a suo rischio e
pericolo. Meno male che ad ogni grosso incrocio c’è una pedonale
sopraelevata da cui si può accedere alla strada che si desidera e
nel verso che è comodo. Ogni auto o autobus o camion cammina sulla
estrema sinistra della sua corsia e, caparbiamente, tenta
continuamente di sorpassare il mezzo che gli è davanti incurante
della striscia continua, della doppia striscia e dei mezzi che
circolano nella corsia opposta. Vince il più testardo e aggressivo.
Finalmente incontriamo la vecchia Cina nel tempio del Budda di
giada, celebre santuario dove si venerano due statue di
Budda mollemente sdraiato, anzi languidamente sdraiato, a cui quella
particolare giada bianca dà un senso ulteriore di mollezza, quasi
di lussuria.
E incontriamo i fedeli che pregano in raccoglimento, bruciando
incenso nell’apposito braciere ed accendendo candele e
inginocchiandosi o genuflettendosi ripetutamente nonostante la
presenza dei turisti, non tutti rispettosi dei loro luoghi sacri.
E ritroviamo la vecchia Cina ancora nel Giardino del Mandarino
Yu, del XVI secolo, due ettari di un singolare giardino di stile
Ming di grande pregio storico artistico, con abitazioni, ponticelli,
fiumicelli, aiuole di pietra in bizzarra successione. Anche il Giardino
del Mandarino Yu ha dovuto pagare 4 ettari all’incalzante
urbanizzazione della città. Nel quartiere tradizionale adiacente al
Giardino, ci viene ancora incontro quel poco che rimane della
vecchia Shanghai. E’ ormai solo adibito ad un movimentato e ricco
bazar popolare che richiama frotte di turisti, che escono sempre
perdenti dalle contrattazioni con gli astuti rivenditori.
Tutta qui la vecchia Cina ancora visibile in questa grande
metropoli, giacché sono stati già requisiti dal governo interi
quartieri, ora deserti e fatiscenti, destinandoli all’abbattimento
per essere sostituiti da cento grattacieli, da mille strade e,
forse, da qualche giardino.
Fra dieci anni la città sarà, forse, ancora più ricca, ma,
certamente, sarà più povera delle testimonianze dei nostri
ricordi. |
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