Negli ultimi giorni di novembre o, senz’altro,
sotto l’Immacolata, li sentivamo arrivare da lontano, gli attesi
zampognari, perché si annunziavano dalla strada con gli inconfondibili
suoni dei loro antichi strumenti: la zampogna e la ciaramella.
Con la zampogna dal sacco di pelle di
ovino, la ciaramella e le “canne” di ciliegio o d’ulivo, le ritorte
ciocie, i gambali di pecora tenuti da strisce di pelli che tenevano su
anche i pantalonacci alla zuava, la camicia di flanella a quadrettoni, il
consunto giubbino di pelle, il mantello a ruota, il cappello conico, la
bisaccia sulle spalle, a noi bambini essi ricordavano tanto i terribili
“briganti” meridionali riportati nei nostri libri scolastici e perciò
c’incuriosivano ed intimorivano, inizialmente.
Suonare la zampogna durante il periodo
natalizio -andando di famiglia in famiglia, accontentandosi di fortunosi
pasti ed avventurosi bivacchi per guadagnare una remunerazione che non
sempre era retribuito con danaro spendibile- era un’attività stagionale
sufficiente a superare senza danni l’inverno per gente che, lassù in
montagna, non avevano di che scialare anche nei mesi non invernali. Nella
loro bisaccia andava a finire di tutto: salumi, pane, farina, olio,
legumi, biscotti o dolci di Natale. Nel loro portafoglio andavano a finire
anche le poche o molte lire pattuite per i loro “concerti” davanti
alla statua dell’Immacolata, prima, e al presepe, poi, per l’intera
novena..
I più bravi tra loro, i più fortunati (o
quelli che non erano dell’alto Matese o dell’alta Irpinia e, quindi,
poiché si muovevano solitamente a piedi, potevano raggiungere più
facilmente Caserta) ritornavano anche la mattina dell’Epifania per
accompagnare e precedere la processione in onore di Gesù Bambino, che
quasi ogni parrocchia svolgeva.
Nostra madre pattuiva con gli zampognari
non solo il compenso per i “concerti” ma anche l’ora in cui essi
dovevano essere eseguiti: non la mattina, perché eravamo a scuola, né la
sera tardi perché, lei ci diceva, “arrivano sempre avvinazzati e che
novena a Gesù possono fare?”. E se queste condizioni non erano
compatibili col giro degli zampognari, ne faceva a meno, con nostro
disappunto. Alla fine del contratto verbale c’era lo scambio, rituale,
dell’anticipo sul dovuto con le “cucchiarelle” di legno, che gli
zampognari erano soliti lavorare con il coltello durante il loro tempo
trascorso a guardia del loro gregge. Le cucchiarelle erano usate di
preferenza durante la cottura della polenta e durante la lunga
preparazione del ragù.
La mamma, da suo punto di vista, aveva
ragione per volere gli zampognari non a tarda sera. Infatti, quando
qualche volta il giro degli zampognari era più lungo del solito, il “concerto”
diventava strano e, per noi, divertente, perché gli zampognari,
abbastanza brilli per qualche bicchiere bevuto di troppo (ed era usuale
specialmente la Vigilia di Natale, dovendo salutare tante famiglie), la
tiravano a lungo con la loro tradizionale suonata. Allora noi, più
grandicelli e smaliziati, allungavamo alla “ciaramella” la cinque o la
dieci lire e le suggerivamo “O campagnola bella” ed analoghe. La
ciaramella subito attaccava il ritornello richiesto, non sempre seguita
però prontamente dalla zampogna appesantita dai fumi del copioso vino
ingerito, con gran godimento nostro per lo strano concerto. Quando
riuscivano a trovare l’intesa, noi ne accompagnavamo il ritmo con
battute di mano. Il nostro divertimento era anche l’attesa della
reazione di mamma, che s’incavolava di brutto e poi minacciava: ”Se
domani venite alla stessa ora, è meglio che non vi presentate proprio! E’
un’indecenza!”, per poi cercare di rifilare un manrovescio a chi di
noi le era più vicino.
E poi sono nati i miei figli.
Giuro! Ho cercato di conservare a loro la
bella usanza della novena di Natale davanti al presepe, sopportando la
mancanza di ciocie e di gambali in pelle arrotolata e tenuta da strisce, l’ostentazione
del cappello floscio e della giubba di nylon nonché l’arrivo degli
zampognari prima in motoretta e poi in auto, ma poi, di fronte al sacco di
una zampogna ricavato da una vecchia camera d’aria di auto, non ho retto
ed ho chiuso il rapporto con loro.
Oggi nelle nostre contrade non s’ode più
il suono della zampogna e della ciaramella.
L’ultimo incontro con esse l’ho avuto
qualche anno fa a Roma, in piazza di Spagna. Che delusione quel vestito da
boutique! E quel cappello posto lì davanti per l’offerta dei passanti,
poi!
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