“Ausiliatrice,
vergine bella,
di
nostra vita tu sei la stella;
fra
le tempeste, deh! guida il core
di
chi ti chiama Stella d’amore.”
Nelle
sere del mese di maggio di tanti anni fa, il nostro fresco canto alla
Madonna Ausiliatrice si innalzava cristallino ed inondava il piccolo
cortile destinato ai nostri semplici giochi. Il reverendo don Giuseppe
Maria Gangi (mi chiedevo sempre come un uomo potesse chiamarsi Maria!),
venerato ed amato nostro direttore, accompagnava il nostro canto con una
vecchio, piccolo organo a mantice, le cui leve potevano essere messe in
moto solo dai più grandi e dietro esplicita autorizzazione.
Per
il mese di maggio, don Gangi trasformava il porticato - quello che ha oggi
le arcate murate e piccole tettoie - in cappella: sulla parete di fondo
costruiva un altarino con la statua della Madonna Ausiliatrice ed, al suo
lato, poneva il piccolo organo. Davanti seguivano le file di sedie per
noi.
Appena
arrivavamo all’Oratorio, dovevamo pulire il cortile (scope, ramazze e
secchi per tutti!), ordinare il porticato-cappella e rinnovare l’acqua
nei portafiori. Solo dopo incominciavamo a giocare: mosca cieca, i quattro
cantoni, la bandiera, il castello e similari e, qualche volta, palla
avvelenata, ma senza lanciare la palla in modo violento.
Intorno
alle 18, interrotti i nostri giochi al suono di un campanello agitato da
don Gangi, ci sedevamo in ordine di altezza nel porticato, in modo che
tutti potessimo partecipare alle pratiche religiose del mese senza
distrarci (e don Gangi ci potesse facilmente controllare!).
A
quell’ora il sole ci cadeva diritto addosso, impietoso del nostro
accumulato sudore, tormentandoci durante la recita del Rosario e delle
altre preghiere. Solo i più fortunati tra noi godevano della piccola
ombra procurata dai festoni di edera che ricadevano dalle arcate.
Canto
iniziale e Rosario, quindi sermoncino di don Gangi, preghiera alla Madonna
Ausiliatrice, fioretto, benedizione finale e, infine, Ninuccio Serpico,
con la sua bella voce tenorile, intonava le strofe di “La squilla di
sera” a cui rispondevamo con felici “Ave, Ave, Ave Maria” dandoci di
gomito per essere tra i primi a lasciare il porticato.
Quanti
oratoriani eravamo nel 1941?
Tutti
quelli della foto, fatta dallo stesso don Gangi, che, nelle grandi
occasioni- con macchina fotografica a cassetta, lampo al magnesio e l’aiuto
di un ausiliario salesiano-, provvedeva a fotografarci in una lunga
seduta: vedete come siamo tutti, tutti, ordinati e visibili?
Questa
foto costò ai miei genitori una lira ma mi ha felicemente conservato i
visi di Miccichè, dei De Crescenzo, dei Natale di varie stirpi, dei
Gallicola, dei Serpico, dei Gagliardi, dei tre Trombetta, di Maccauro, dei
Mandara, di Biscardi, di Signore, di Crispo, dei Veccia, e degli altri che
ormai il tempo ha cancellato dalla mia memoria perché il mio mondo di
piccolo bambino seduto a terra (il terzo da destra) era tanto, molto
lontano da quello di quanti, dalla terza fila, fanno corona a don Gangi.
L’ultima
domenica di maggio era di gran festa per noi oratoriani. Al termine della
messa dell’Oratorio ci disponevamo nel cortile in due “treni”
separati e percorrevamo più volte, tante volte!, il cortiletto gridando
“Comunione” e “senza Comunione” separatamente, per indicare che un
“treno”, invece dell’altro, era formato da oratoriani che si erano
comunicati quella mattina. Finalmente don Gangi si “inteneriva” e da
una finestra dei locali adiacenti al porticato, ancora esistenti, ci
distribuiva le caramelle, a volte i torroncini, con un occhio di riguardo
a “quelli della Comunione”.
E
ci distribuiva poi le corde per roteare, correndo come matti, intorno ad
un palo posto nel terreno in fondo al cortile nonché i sedili delle
altalene. Il tutto veniva affidato ai più grandi e noi, più piccoli, …
in fila per poter fare dieci/venti giri intorno al palo o dieci/venti
oscillazioni all’altalena: il numero dei giri o delle oscillazioni
veniva gridato da quelli, in fila, in attesa del proprio turno.
L’eclettico
don Gangi -si dilettava anche di pittura- non c’era più a dirigere l’Oratorio
quando, nel dopoguerra, il pallone, da calcio e da pallacanestro, fece la
sua comparsa nell’Oratorio: erano arrivati tanti altri ragazzi, molti
provati dalla guerra, e si dovette fare fronte alle nuove esigenze che le
loro istanze imponevano.
Oggi
l’Oratorio dei Salesiani (nella foto) è un’altra cosa rispetto
a sessant’anni fa perché, attualmente, c’è un modo diverso di essere
giovani, anche se non è diverso il modo di farsi coinvolgere dal sorriso
e dalla passione di don Bosco.
I
tanti giovani oggi impegnati nel “Mayfest 2001, cultura giovani” con i
loro spunti creativi, con le loro attività sportive e musicali, con le
loro manifestazione di esultanza ed il loro modo di essere nel quotidiano
sono la testimonianza dei significativi frutti della centenaria presenza
dei salesiani a Caserta, della rinnovata esigenza della Casa Salesiana di
stringere sempre più i rapporti con la città, della passione che i
Salesiani hanno sempre avuto per i giovani. |
I
Salesiani oggi |