I segni della Pasqua

“Struscio” e campane “appilate”

di Lorenzo Di Donato

Fino agli anni sessanta dello scorso secolo, nella nostra famiglia, come in quasi tutte le famiglie di Caserta, ci si provvedeva di abiti nuovi in tre occasioni ben determinate: per la festività di sant’Anna, per il santo Natale e per Pasqua, e quanto accadeva, in tali occasioni, nella nostra famiglia era identico a quanto si verificava nelle altre.

Per questa ragione vale la pena di dettagliare la successione degli eventi.

La mamma andava a comprare la stoffa da Nugnes, in via Mazzini, o da Agovino, in via Battisti, che, ormai, da tanti anni hanno chiuso le loro attività. Compatibilmente alle possibilità economiche, la mamma comprava stoffa buona, “inglese”: qualche lira spesa in più poteva rivelarsi un ottimo investimento per il futuro.

Poi mamma chiamava il sarto di famiglia: il nostro era Marino, che aveva bottega all’angolo tra via Vico e via Verdi. Marino subito arrivava, contava i fili della trama con la piccola lente d’ingrandimento professionale, palpava e ripalpava la stoffa e ne faceva la stima, anche della durata. Quindi stimava lo stato dei vestiti dei maschi della famiglia e valutava a chi fare il vestito nuovo; a chi doveva poi “passare” e fra quanti anni; come meglio cucire il vestito per adattarlo o “rivoltarlo” ad un altro figlio; a chi doveva passare il vestito dismesso da colui che avrebbe avuto il vestito nuovo, e, così via, in una serrata discussione con la mamma. Altro che andamento delle Borse, del Mibtel, del dollaro o dell’euro!

Noi, ragazzi e signorine, eravamo interessati maggiormente al vestito nuovo, o rivoltato, di Pasqua, perché ci permetteva di andare a “fare lo struscio” il Giovedì Santo almeno dignitosamente.

Allora la Messa della lavanda dei piedi, che terminava con l’altare della Reposizione ovvero del “Sepolcro”, si celebrava nel primo pomeriggio. Iniziava, quindi, già al crepuscolo la visita e l’adorazione dei “Sepolcri” nelle varie chiese casertane da parte dei fedeli. Questa pia consuetudine, tanto sentita allora da far sì che i fedeli che si muovevano da una chiesa all’altra costituivano una folla, diventava anche una buona occasione per una piccola “sfilata” dei giovani e delle signorinelle, queste accompagnate dai loro genitori, ognuno con l’abito migliore possibile, meglio se nuovo, ancora di più se c’erano scarpe nuove, cravatta o nastro nuovo, borsetta nuova, primi tacchi alti, anche se “sofferti”. Questa sfilata era denominata “struscio” sia perché l’affollarsi dei fedeli intorno ai “Sepolcri” costringeva a camminare a piccoli passi, a “strusciare” i piedi, sia perché i vestiti nuovi, ancora rigidi, “frusciavano” a contatto con altri vestiti.

Allora tutte le funzioni della Settimana Santa davano luogo ad usanze ora poco praticate o, qualcuna, in disuso. Così, il Venerdì Santo, essendo le campane “appilate” in segno di lutto per la morte di Gesù Cristo, i fedeli venivano convocati alla lettura del “Passio” ed Adorazione della Croce -“la messa secca”, si diceva- mediante i suoni emessi dalla “tabella”, una tavoletta di legno sulla quale, per energico scotimento, battono, su apposite borchie, quattro maniglie di ferro. La tabella era consegnata dal parroco ad un gruppo di ragazzi che percorreva le strade della parrocchia poco prima dell’inizio della “messa secca”, scuotendola violentemente e scambiandosela tra loro dopo lunghe discussioni, anche animate.

Anche la santa Messa Pasquale era celebrata nella mattinata del Sabato con conseguente “spilamento” delle campane intorno alle 11 del mattino. Al “Gloria”, le grosse campane della Cattedrale suonavano a festa per la Resurrezione di Gesù, subito accompagnate dai suoni delle campane di tutte le chiese di Caserta. La vita di Caserta si fermava un poco: chi si faceva il segno di Croce; chi si segnava dopo aver toccato il suolo con le mani; altri si inginocchiavano e si segnavano; altri ancora baciavano il suolo e si segnavano. Poi si scambiava la pace, e gli auguri, con chi era vicino o veniva incontrato poco dopo.

Era Pasqua, finalmente!, e terminava il tempo più silenzioso dell’anno, la settimana Santa. Anche i programmi della radio sovrabbondavano di musica sacra o classica; le sale cinematografiche casertane - il Pidocchietto (chi se lo ricorda ancora?), l’Esedra, il Comunale e, solo successivamente, il Corso- osservavano la chiusura il Venerdì Santo e solo più tardi osarono programmare in tale serata film a tematica religiosa: Marcellino pane e vino, santa Maria Goretti, I dieci comandamenti, ed analoghi.

Aspettavamo con ansia, poi, il parroco per la benedizione della casa perché così si “toglieva il verme” dai dolci approntati e potevamo dare libero sfogo all’appagamento della nostra golosità.

La tabella: il Venerdì Santo, essendo le campane “appilate” in segno di lutto per la morte di Gesù Cristo, i fedeli venivano convocati alla lettura del “Passio” ed Adorazione della Croce -“la messa secca”, si diceva- mediante i suoni emessi dalla “tabella”, una tavoletta di legno sulla quale, per energico scotimento, battono, su apposite borchie, quattro maniglie di ferro. La tabella era consegnata dal parroco ad un gruppo di ragazzi che percorreva le strade della parrocchia poco prima dell’inizio della “messa secca”, scuotendola violentemente e scambiandosela tra loro dopo lunghe discussioni, anche animate.