Fino
agli anni sessanta dello scorso secolo, nella nostra famiglia, come in
quasi tutte le famiglie di Caserta, ci si provvedeva di abiti nuovi in tre
occasioni ben determinate: per la festività di sant’Anna, per il santo
Natale e per Pasqua, e quanto accadeva, in tali occasioni, nella nostra
famiglia era identico a quanto si verificava nelle altre.
Per
questa ragione vale la pena di dettagliare la successione degli eventi.
La
mamma andava a comprare la stoffa da Nugnes, in via Mazzini, o da Agovino,
in via Battisti, che, ormai, da tanti anni hanno chiuso le loro attività.
Compatibilmente alle possibilità economiche, la mamma comprava stoffa
buona, “inglese”: qualche lira spesa in più poteva rivelarsi un
ottimo investimento per il futuro.
Poi
mamma chiamava il sarto di famiglia: il nostro era Marino, che aveva
bottega all’angolo tra via Vico e via Verdi. Marino subito arrivava,
contava i fili della trama con la piccola lente d’ingrandimento
professionale, palpava e ripalpava la stoffa e ne faceva la stima, anche
della durata. Quindi stimava lo stato dei vestiti dei maschi della
famiglia e valutava a chi fare il vestito nuovo; a chi doveva poi “passare”
e fra quanti anni; come meglio cucire il vestito per adattarlo o “rivoltarlo”
ad un altro figlio; a chi doveva passare il vestito dismesso da colui che
avrebbe avuto il vestito nuovo, e, così via, in una serrata discussione
con la mamma. Altro che andamento delle Borse, del Mibtel, del dollaro o
dell’euro!
Noi,
ragazzi e signorine, eravamo interessati maggiormente al vestito nuovo, o
rivoltato, di Pasqua, perché ci permetteva di andare a “fare lo
struscio” il Giovedì Santo almeno dignitosamente.
Allora
la Messa della lavanda dei piedi, che terminava con l’altare della
Reposizione ovvero del “Sepolcro”, si celebrava nel primo pomeriggio.
Iniziava, quindi, già al crepuscolo la visita e l’adorazione dei “Sepolcri”
nelle varie chiese casertane da parte dei fedeli. Questa pia consuetudine,
tanto sentita allora da far sì che i fedeli che si muovevano da una
chiesa all’altra costituivano una folla, diventava anche una buona
occasione per una piccola “sfilata” dei giovani e delle signorinelle,
queste accompagnate dai loro genitori, ognuno con l’abito migliore
possibile, meglio se nuovo, ancora di più se c’erano scarpe nuove,
cravatta o nastro nuovo, borsetta nuova, primi tacchi alti, anche se “sofferti”.
Questa sfilata era denominata “struscio” sia perché l’affollarsi
dei fedeli intorno ai “Sepolcri” costringeva a camminare a piccoli
passi, a “strusciare” i piedi, sia perché i vestiti nuovi, ancora
rigidi, “frusciavano” a contatto con altri vestiti.
Allora
tutte le funzioni della Settimana Santa davano luogo ad usanze ora poco
praticate o, qualcuna, in disuso. Così, il Venerdì Santo, essendo le
campane “appilate” in segno di lutto per la morte di Gesù Cristo, i
fedeli venivano convocati alla lettura del “Passio” ed Adorazione
della Croce -“la messa secca”, si diceva- mediante i suoni emessi
dalla “tabella”, una tavoletta di legno sulla quale, per energico
scotimento, battono, su apposite borchie, quattro maniglie di ferro. La
tabella era consegnata dal parroco ad un gruppo di ragazzi che percorreva
le strade della parrocchia poco prima dell’inizio della “messa secca”,
scuotendola violentemente e scambiandosela tra loro dopo lunghe
discussioni, anche animate.
Anche
la santa Messa Pasquale era celebrata nella mattinata del Sabato con
conseguente “spilamento” delle campane intorno alle 11 del mattino. Al
“Gloria”, le grosse campane della Cattedrale suonavano a festa per la
Resurrezione di Gesù, subito accompagnate dai suoni delle campane di
tutte le chiese di Caserta. La vita di Caserta si fermava un poco: chi si
faceva il segno di Croce; chi si segnava dopo aver toccato il suolo con le
mani; altri si inginocchiavano e si segnavano; altri ancora baciavano il
suolo e si segnavano. Poi si scambiava la pace, e gli auguri, con chi era
vicino o veniva incontrato poco dopo.
Era
Pasqua, finalmente!, e terminava il tempo più silenzioso dell’anno, la
settimana Santa. Anche i programmi della radio sovrabbondavano di musica
sacra o classica; le sale cinematografiche casertane - il Pidocchietto
(chi se lo ricorda ancora?), l’Esedra, il Comunale e, solo
successivamente, il Corso- osservavano la chiusura il Venerdì Santo e
solo più tardi osarono programmare in tale serata film a tematica
religiosa: Marcellino pane e vino, santa Maria Goretti, I dieci
comandamenti, ed analoghi.
Aspettavamo
con ansia, poi, il parroco per la benedizione della casa perché così si
“toglieva il verme” dai dolci approntati e potevamo dare libero sfogo
all’appagamento della nostra golosità. |
La
tabella: il Venerdì Santo,
essendo le campane “appilate” in segno di lutto per la morte di Gesù
Cristo, i fedeli venivano convocati alla lettura del “Passio” ed
Adorazione della Croce -“la messa secca”, si diceva- mediante i suoni
emessi dalla “tabella”, una tavoletta di legno sulla quale, per
energico scotimento, battono, su apposite borchie, quattro maniglie di
ferro. La tabella era consegnata dal parroco ad un gruppo di ragazzi che
percorreva le strade della parrocchia poco prima dell’inizio della “messa
secca”, scuotendola violentemente e scambiandosela tra loro dopo lunghe
discussioni, anche animate. |