La
Quaresima sta volgendo al termine quasi senza che ce ne siamo accorti.
Per
i più è stato un tempo irrilevante, anche per la carenza di segni
esterni. Per parecchi è consistita in una piccola costrizione il
venerdì, con l’astinenza dalle carni, più per antica usanza che per
convinta adesione ad una necessità di mortificare … la nostra gola in
segno di penitenza.
Il
nostro mondo distratto è ben lontano da quei secoli passati quando la
Quaresima era così piena di senso da fare nascere la famosa “tregua di
Dio”: Papi e principi stabilirono (Concilio di Charroux del 989;
Concilio di Clermont del 1095; Concilio Lateranense III, del 1179) che
dalla terza domenica precedente la Quaresima (detta di Settuagesima
perché cade circa settanta giorni prima della Pasqua) all'ottava di
Pasqua dovevano essere interdette tutte le azioni di guerra. Uguale tregua
era già stabilita dall’Avvento all’Epifania, mentre solo
successivamente ai periodi di tregua vennero aggiunti anche il giorno di
Pentecoste, le feste della Madonna e di alcuni Santi.
Di
questa “tregua di Dio” avvertiamo proprio il bisogno in questo inizio
tormentato del nuovo Millennio!
Nei
secoli passati, l’astinenza delle carni e la necessità di variare la
dieta nel periodo quaresimale, affinché non vi fossero danni alla salute,
portarono anche alla formulazione di regole alimentari e menù per le
comunità religiose.
Così,
a metà del 1700, lo “Stabilimento generale per la tavola del seminario”
di Pozzuoli, come riporta Germana Militerni Tardone su Campania Felix,
stabilisce: ”Nel tempo della Quaresima si dia la minestra verde una, l’altra
di pasta o legume, la pietanza di pesce, sia continua a sei a rotolo (circa
un kg), la sera la solita pagnotta e vicendevolmente un’arenga,
saraca, alice salata, con verdure e frutti secchi, cioè passi, noci,
castagne e quando si darà il pesce si divida otto a rotolo la sera; la
domenica però si dia la pietanza di pesce, insalata e verdura.”
A
metà dell’800, il cav. Ippolito Cavalcanti, di Afragola, formula per i
suoi amici preti una serie di menù di strettissimo magro sia per la
Quaresima che per la Settimana Santa, anch’essa tutta di magro. Ad
esempio, per il Venerdì Santo indica: “Zuppa de fave secche co li
crustini; Baccalà a la spagnola co la sauza de noce; Cepollette
mbottunate de scammaro; Frittelle de mela co llo rum”. Questo menù può
fornirci validi suggerimenti per quello del prossimo Venerdì Santo
E’
chiaro che per il popolino il menù di magro era, in genere, meno
abbondante e raffinato. Ad esempio, per il mercoledì di magro: “maccaroni,
pietanza di pesce o oua e formaggio. La sera: pietanze di pesce o
frittata, o caso e verdura”.
E’
la cucina mediterranea, oggi tanto osannata.
Anche
la Quaresima dei tempi della nostra infanzia era contrassegnata sia da
privazioni della gola (con pasti tutto d’uoglio, cioè di solo
magro) sia da opere di carità o di bontà (i fioretti) che le
nostre madri ci invogliavano a compiere a completamento e/o integrazione
della nostra educazione religiosa e sociale. Ad ogni fioretto era
associato un chicco di grano da riporre in un sacchettino; le “piccole”
elemosine, che comportavano però un “grosso” sacrificio per noi
bambini, valeno tre chicchi di grano. Per nostra edificazione, a Pasqua si
consegnava il sacchettino rigonfio di fioretti al nostro parroco
che provvedeva a darlo alle suore perché ne facessero ostie per la
Comunione.
Per
i nostri pasti di magro, le nostre mamme erano molto attente almeno per i
mercoledì e venerdì di Quaresima e della Settimana Santa, nei quali era
di prassi anche la privazione di caramelle, biscotti e dolciumi in genere
e di quanto potesse essere segno di abbondanza o di gioia. Anche la radio
non doveva essere accesa per ascoltare trasmissioni frivole o canzoni
(solo la musica classica era permessa) ed il nostro giradischi, a
manovella!, era costretto ad osservare un giorno di riposo.
E
volete che, quando incontravamo un nero e spelacchiato fantoccio di
Quaresima appeso per le strade o inchiodato ad una porta, noi ragazzini
non cercavamo di colpirla a sassate? |