Tradizione e fede: la Candelòra

Dai Santi il rimedio contro le malattie dal freddo
di Lorenzo Di Donato

All’inizio di febbraio cadono due feste religiose strettamente connesse al freddo ed alle malattie da raffreddamento.

Infatti il 2 febbraio è la festa della candelòra, già celebrata a Gerusalemme nel secolo IV, ed è subito seguita (3 febbraio) dalla festività di san Biagio Vescovo e martire, che ha origine nello stesso secolo.

La festa della candelòra o della Purificazione di Maria Vergine era già celebrata a Gerusalemme nel sec.IV. Nel 534 arrivò a Costantinopoli ed, infine, nel sec. VII si diffuse in occidente. Prima del rito il sacerdote benedice le candele [da cui il nome festa delle candele = (festum) candelarum], simbolo della luce di Cristo nel mondo. Il fedele poi porta alla propria casa una candela benedetta, segno di partecipazione alla luce divina, e, secondo la pietà popolare, dotata di virtù protettive contro le calamità, le tempeste e anche durante l’agonia..

Nel calendario popolare la candelòra segna la fine dell’inverno ed ad essa si ispirano proverbi ("alla candelora dall’inverno siamo fora") e credenze . In Lombardia la candelòra segna "il tempo della merla": il merlo è nero, secondo una gentile leggenda, perché fu ricoperto dalla fuliggine del fuoco presso cui si era troppo accostato per ripararsi da freddo intenso. In quella regione, in questi giorni, si usa mettere un pugno di granaglie sui balconi per gli uccelli infreddoliti.

Anche il culto di san Biagio -prima medico, poi vescovo a Sebaste (Armenia), martirizzato con gravi torture e messo a morte intorno al 307-323- è legato al freddo. Infatti é antichissimo il ricorrere a lui nelle malattie della gola, come già incoraggiava Ezio Amideno, medico del IV secolo, in quanto si vuole che, lungo la strada che portava al luogo dell’esecuzione, Biagio avrebbe estratto una spina di pesce dalla gola di un fanciullo con la sola imposizione delle mani, salvandolo da morte sicura, giacché era riuscita vana l’opera di grandi medici.

In tempi passati le malattie da raffreddamento (polmoniti, bronchiti, laringiti, faringiti, ecc.) erano diffusissime e con esiti anche mortali per la mancanza di cure efficaci che, in genere, non andavano al di là dello "sciroppo di lenzuola" (stare a letto fino a che il male non passava) e di blande tisane. San Biagio, anche medico, che per volere divino aveva guarito il bambino da un grave malessere alla gola con l’imposizione delle mani, non poteva che essere il naturale intercessore presso Dio perché si fosse guariti da tali malattie e/o da esse salvaguardati.

E il santo, all’inizio dello scorso secolo, così veniva invocato nella novena a lui dedicata: "Glorioso martire e prelato san Biagio, per quella portentosa guarigione ottenuta da Dio al fanciullo della spina attraversatagli nella gola, e per un tal dono ricevuto da Dio per simile infermità, vi preghiamo di ottenerci da Dio la guarigione dell’anima e del corpo, …".

Oggi, la preghiera, ha toni più misurati: "O glorioso san Biagio, che con una breve preghiera restituiste la perfetta sanità ad un bambino che per una spina di pesce attraversata nella gola stava per mandare l’ultimo anelito, ottenete a noi tutti la grazia di esperimentare l’efficacia del vostro patrocinio in tutti i mal di gola, …".

La Chiesa, dopo un breve periodo in cui aveva sospeso il rito della "benedizione della gola", l’ha ripristinato. Per cui, al termine della santa Messa, il sacerdote, al fedele che lo desidera, impone due candele incrociate all’altezza della gola, oppure l’unzione con l’olio benedetto, e recita l’invocazione: "Per l’intercessione di san Biagio Vescovo e martire ti liberi il Signore dal male di gola e da ogni altro male, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".

I racconti tradizionali della vita di san Biagio -seguendo modelli frequenti in queste opere, che vogliono soprattutto stimolare la pietà e la devozione dei cristiani- sono ricchi di vicende prodigiose, ma allo stesso tempo incontrollabili e, a volte, contraddittorie. Come quella della vedova, alla quale il santo fece riavere un maialino portatele via da un lupo. La vedova, riconoscente, gli portò del cibo e delle candele. Ed il santo la lodò, aggiungendo: "Chiunque porterà candele nelle chiese a me dedicate avrà ogni bene". L’espressione "chiese a me dedicate" mal si conciliano con lo spirito di carità che doveva animare san Biagio e rendono la storia inverosimile.

Si hanno testimonianze che nel secolo XVIII si usava "benedire l’oglio e le panelle" durante la messa al santo così come viene fatto oggi laddove il culto del santo è particolarmente sentito.

E’ facile ravvisare nelle candele, nelle panelle, nell’oglio benedetto i segni dei ricordati miracoli attribuiti a san Biagio.

© Caserta Musica & Arte - 2001


San Biagio