Questa del “pagliaccio” è una tradizione di famiglia: quando andavo a passare qualche giorno d’estate al paese di mio padre (erano quelle le mie vacanze estive), mio nonno, fornaio, lo preparava per me e per gli altri nipotini come straordinaria ed eccezionale concessione.
Dopo che era stata tirata fuori l’ultima infornata di pane, assistevamo alla nascita dei “pagliacci” in religioso silenzio intorno al grande tavolo della stanza del forno, che, ricoperta com’era da un magico velo bianco che rendeva meravigliose anche le ragnatele, sembrava un castello delle fate.
Ed ecco come si fa il “pagliaccio”.
Si prende un pezzo di pasta già lievitata grande quanto un pugno; si sagoma prima la testa con cappello a punta e poi si modella, grossolanamente, con tre tagli, a forma di omino, come dalle foto.
Mio nonno metteva una fila di minuscole palline di pasta sul davanti del pagliaccio a mò di bottoni. Io, invece, per i miei nipotini, preferisco poggiare un uovo crudo, ben lavato ed asciugato, sulla pancia, facendolo reggere con le “braccia”.
Si lascia lievitare ancora un po’; si spennella con acqua e si lascia cuocere in forno ben caldo finché diventa dorato.
di Giorgina Lieto
Ricette e foto:
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Pronti per essere infornati
Dopo la cottura
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