Teano Jazz Festival 2023: Roberto Gatto Perfect Trio
Teano (CE) - 8 Luglio 2023
Articolo di Ilaria Pieri e Pasquale Concilio
“Luglio col bene che ti voglio, mi stai strappando l’anima, non ti
sopporto più” cantano i Flowers and Paraffin, in un brano che risuona
spesso alle nostre orecchie ogni qualvolta ci ritroviamo a girare il foglio
del calendario sul mese corrente, oppressi da una calura insopportabile.
L’appuntamento col Teano Jazz Festival – quest’anno al suo trentennale
– giunge, quindi, come la garanzia di una boccata di aria fresca rispetto
all’asfissia cittadina, ma soprattutto come la promessa di un risveglio dal
torpore estivo al seguito dei grandi maestri del genere.
Sabato sera,
ad attenderci c’erano Roberto Gatto – alla sua quarta partecipazione al
Festival – e il suo PerfecTrio, composto dal maestro romano alla batteria,
Pierpaolo Ranieri al basso e Alfonso Santimone al piano (preparato) e
Fender Rhodes. Il Loggione del Museo Archeologico di Teanum Sidicinum è
ancora una volta la splendida cornice di questa edizione del Festival: un
sofisticato lounge a cielo aperto, illuminato da soffusi giochi luminosi e
impreziosito da una vista sull’entroterra e le colline circostanti.
Il
PerfecTrio si è impossessato del palco nel mezzo di un religioso silenzio:
austere note di piano preparato hanno aperto il concerto, seguite da droni
di basso e dallo stridore metallico delle viti che Gatto ha installato sui
suoi piatti. L’entrata del pubblico nello spazio siderale dei musicisti è
in punta di piedi: l’impressione è quella di un vento glaciale che quasi
sembra ripagare la promessa di riparo dall’afa estiva.
L’atmosfera
volutamente destabilizzante lascia presto spazio all’ordine enigmatico ma
accogliente del canone jazz di cui Gatto, Ranieri e Santimone si fanno
interpreti. Gli strumenti sembrano addentrarsi tra intervalli angusti come
i vicoli sidicini, rincorrendosi in una fuga affamata che sfocia in lucidi
sogni elettronici in cui l’unica guida è il basso di Ranieri, che raduna
gli altri due ad una bossa nova spoglia e ricercata al tempo stesso.
Gli strumenti prendono a dialogare: l’entusiasmo è palpabile, Gatto sorride
a quella che è già l’ennesima trovata di Santimone al pianoforte. È il
fervore di chi non si stanca mai di trovare nuove rivelazioni nella propria
ricerca musicale. Chi ascolta ha la sensazione che ci sia della gloria in
questa bossa sghemba. Il ritmo si fa fluido, come fluido è il fraseggio di
Santimone, che gioca su sincopi accattivanti.
Anche l’illuminazione
inizia ad assecondare il clima sonoro avvicendando colori diversi. Il
secondo pezzo è una ballata con l’horror vacui, che sembra danzare sul
ghiaccio: ad ogni frase c’è una nuova scoperta e il ritorno al tema
portante si arricchisce di nuove sfumature ad ogni iterazione. È poi Gatto
stesso a dare inizio un nuovo tema, ingaggiando una battaglia personale con
beat e campane elettronici, finché il pianoforte non decide di seguire con
le sue melodie, che non si concedono mai facilmente.
Ricomincia una
discussione concitata tra gli strumenti, nella quale ognuno ha il proprio
spazio: una sorta di utopico esperimento democratico che culmina nel
walking bass di Ranieri, che seduce la folla e trasporta l’entusiasmo verso
i creativi assoli di ognuno dei musicisti.
A momenti in cui sono il
prog e l’industrial a creare le suggestioni maggiori nel suono del
PerfecTrio, seguono melodie confortanti e tuttavia sfuggenti,
contrappuntate da fughe in cui climax e pause non sono mai scontate e
trasportano gli ascoltatori in luoghi lontani, ben più lontani di quanto
sia possibile arrivare senza chiudere gli occhi.
I tre parlottano tra
una performance e l’altra, concordando la scaletta al momento, attingendo
dal magmatico insieme di brani messi insieme in oltre dieci anni di
attività. Il maestro Gatto prende la parola, salutando il pubblico e
raccontandoci la scelta dei pezzi – tra i quali un omaggio al grande
Ryuichi Sakamoto, ispirato dal loro recente soggiorno in Giappone, colonne
sonore e immemorabili passioni personali, da Henry Mancini a Thelonious
Monk. L’ultimo brano del set è, in effetti, We See di Monk: al tributo
appassionato segue la standing ovation tributata dalla folla ai tre
musicisti, che vengono così convinti a tornare per un caloroso encore.
Prima di scendere definitivamente dal palco Gatto fa scivolare le dita sul
piano di Santimone, suonando due note. Un gesto distratto, forse un gioco:
l’eco di una musica che non cessa.