"Ninco Nanco non deve morire": Eugenio Bennato al Convitto di Maddaloni
Maddaloni (CE) - 13 Novembre 2014
Articolo di Giuseppe Vuolo, Foto di Antonio Pagliaro
Nella mattinata di giovedì il monumentale Salone del Convitto Nazionale "Giordano Bruno" di Maddaloni ha ospitato uno dei cantautori italiani più coerenti nel procedere nella propria "direzione ostinata e contraria", tanto per citare uno dei suoi modelli. Eugenio Bennato, infatti, ha scelto il recupero delle forme della musica popolare sin dall'inizio della sua carriera negli anni Settanta - "quando suonare la tammorra invece della chitarra elettrica era un atto rivoluzionario" - così come De Andrè scelse sin da subito di cantare la bellezza degli ultimi per consegnare alla loro morte "una goccia di splendore, di umanità, di verità". Gli ultimi, gli emarginati di Bennato sono i briganti e gli emigranti, il Sud (o, meglio, "tutti i Sud del mondo") il loro posto nel mondo, la loro terra promessa. Ascoltandolo, viene da pensare che, in confronto alla storia e alla tradizione del Meridione, le rivendicazioni identitarie dei leghisti facciano quasi ridere.
La conferenza organizzata dal Convitto si è incentrata proprio sul brigantaggio
postunitario: dopo aver discusso il mese scorso con Dacia Maraini, gli alunni
delle scuole annesse, nonché alcuni rappresentanti di altri istituti, hanno
avuto modo di leggere "Ninco Nanco deve morire - Viaggio nella storia e nella
musica del Sud", terzo libro scritto da Bennato, e l'istituto ha pensato bene di
invitare l'autore per rispondere alle tante domande che fa sorgere un argomento
così controverso.
Accolto dal Rettore Prof. Michele Vigliotti e da una folla di quasi mille
persone tra cittadini e studenti, Bennato è voluto partire da una precisazione
essenziale: questa non è un'iniziativa per nostalgici monarchici o legittimisti
filoborbonici; in questo incontro non c'è spazio per il secessionismo ma solo
per la pura e semplice verità storica. I recenti festeggiamenti per il 150°
anniversario dell'Unità d'Italia hanno spesso dato un quadro incompiuto delle
vicende risorgimentali, bollando migliaia di uomini e donne come "criminali" e
"rivoltosi" tout court ed etichettando chi proponesse ricostruzioni alternative
come revisionista filoborbonico. D'altra parte un atteggiamento simile era
prevedibile, in un Paese dove l'onestà intellettuale cede troppe volte il passo
all'interesse personale (economico, politico, propagandistico ecc.), eppure la
chiacchierata tra l'artista e gli studenti si è rivelata in linea con le sue
premesse: ha indicato un diverso punto di vista a chi cerca - e pretende -
semplicemente la verità sulla storia italiana senza accontentarsi di quanto ha
trovato scritto su un libro di testo, senza l'intenzione di minare la cd.
"memoria condivisa" del Paese ma piuttosto offrendo un quadro davvero completo
del Risorgimento. Questi incontri sono importanti proprio perché evitano che
tale memoria venga propinata acriticamente alle nuove generazioni al pari di un
indottrinamento ideologico della peggior specie. In questo senso, è stato
significativo che un incontro del genere sia stato organizzato proprio da
un'istituzione statale, che questa abbia con forza voluto che vi partecipassero
i propri alunni, dall'ultimo anno delle scuole medie in poi.
Oggi sappiamo che il brigantaggio non fu una rivolta criminale ma qualcosa di molto simile a una guerra civile, un fenomeno preesistente al 1861 che con l'Unità d'Italia si trasformò in un movimento di liberazione che accoglieva i restauratori del Regno borbonico e gli strati sociali più poveri in cerca di una rivoluzione che assegnasse loro le terre che lavoravano per i ricchi latifondisti. Una sanguinosa guerriglia che ha toccato (e troncato) la vita di migliaia di persone senza risparmiare donne e bambini, tracciando le sorti di un Paese intero, eppure una guerra silenziosa, occultata e dimenticata tra le pieghe della storiografia ufficiale dell'Italia unita, così come la maggior parte dei nomi dei suoi caduti. Mai come in questo caso si può capire il senso della massima secondo cui "La storia è scritta dai vincitori". Certo, anche molti delinquenti ingrossavano le file dei briganti (ed alcuni di essi, da briganti, si sono macchiati di crimini atroci), ma queste "infiltrazioni" si sono verificate anche in tanti altri movimenti popolari, come la Resistenza partigiana.
Dopo il rap scritto e cantato dallo studente di terza liceale De Matteis, sia il
cantautore che il rettore hanno introdotto l'argomento riassumendo i motivi che
determinarono l'acuirsi del brigantaggio postunitario, dalle tasse insostenibili
imposte dai nuovi regnanti per rimpinguare le disastrate casse piemontesi al
passaggio dei possedimenti meridionali ai grandi proprietari terrieri, passando
per l'imposizione del servizio di leva obbligatorio che, sottraendo i giovani
alle loro famiglie, contribuì al graduale impoverimento di enormi masse di
contadini, cosa che causò anche i primi importanti flussi migratori verso il
Nord.
In questo scenario, il racconto di Bennato si è focalizzato sulla storia di due
protagonisti delle sue canzoni: Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco,
descritto come il Robin Hood dei briganti, un combattente per la libertà a metà
strada tra Ernesto Che Guevera ed Emiliano Zapata, e della sua donna Michelina
De Cesare. Nelle parole dell'artista i due briganti diventano il simbolo della
durissima repressione con cui i Savoia hanno macchiato i primi anni dell'Italia
unita. "Tenere in vita" la memoria di Ninco Nanco e Michelina, quindi, è un
invito a non dimenticare le nostre stesse radici e ,forse, può addirittura
aiutarci - in minima parte - a comprendere quella mentalità che vede lo Stato
come un qualcosa che non ci appartiene, di cui diffidare e da cui difendersi
piuttosto che un ente fatto per proteggerci, curarci e tutelare i nostri
diritti.
Tra una domanda degli studenti e l'altra, il cantautore ha imbracciato la
chitarra e, assistito dalla puntuale chitarra solista di Ezio Lambiase, ha
regalato ai ragazzi del Convitto un pugno di perle in versione acustica,
partendo dalla bellissima "Questione meridionale", per poi passare a "Il sorriso
di Michela", "Ninco Nanco", l'immancabile "Brigante se more" e "Che il
Mediterraneo sia": quasi un compendio di (contro)storia in versi e musica, dove
ogni canzone è un piccolo atto di resistenza e rivoluzione contro i dogmi della
storiografia tradizionale.