Caserta Film Lab: eventi
Caserta - Novembre 2014
Comunicato stampa
Martedì 4 novembre, Un insolito naufrago nell'inquieto mare d’oriente
(Le conchon de Gaza) di Sylvain Estibal.
Piccola commedia umanista e 'fraterna', premiata nel 2012 con un César al
miglior debutto, Un insolito naufrago nell'inquieto mare d'Oriente trova il
giusto equilibrio tra farsa e fiaba, giudaismo e islamismo, tra ḥarām e
ṭaref (il cibo proibito secondo le prescrizioni alimentari di ebrei e
musulmani), rinnovando il discorso su un conflitto infinito e attivo da più
di sessant'anni. Adottando un punto di vista originale e poetico che
'approda' nella visione onirica, Sylvain Estibal realizza un ritratto
sensibile dove niente è eluso e dove le due fazioni sono calate, con la
propria umanità e la reciproca indulgenza, dentro la loro realtà complessa e
davanti agli immutabili (e immutati) affanni quotidiani.
Jafaar è uno pescatore palestinese che pesca sardine e
vive con la moglie lungo il muro della Striscia di Gaza. Dimenticato da
Allah, incalzato dai creditori e avvilito da una vita sorvegliata da Israele
e dai suoi militari, che 'bazzicano' la sua casa e controllano ogni suo
respiro, Jafaar butta la rete in mare e una mattina pesca l'impensabile: un
grosso maiale vietnamita. Considerato animale impuro dalla sua religione,
decide subito di sbarazzarsene. Il desiderio di qualcosa di meglio per lui e
la sua consorte tuttavia lo fa desistere e il maiale diventa
una fonte inaspettata di guadagno. Dopo numerosi tentativi falliti al di là
e al di qua del muro, Jafaar trova in una giovane colona russa e nella
capacità riproduttiva del suo maiale il business e la risposta alle sue
preghiere. Quando tutto sembra andare finalmente per il verso giusto, un
gruppo di terroristi integralisti lo recluta suo malgrado, mandando
letteralmente in aria il suo commercio e la sua vita.
Domenica 9 novembre, ore 10.30 Titolo da definire
Martedì 11 novembre, Class Enemy di Ron Bicek
L'insegnante di ruolo deve assentarsi perché prossima al parto e al suo
posto arriva nel liceo sloveno il professore di tedesco Zupan. I metodi
dell'uomo sono rigidi, freddi e punitivi, agli occhi di una classe abituata
ad un clima di amichevole negoziazione tra allievi e professori. Quando una
studentessa, Sabina, si suicida apparentemente senza motivo, i compagni
sconvolti incolpano il professore e le sue richieste troppo esigenti. Ma,
nel corso del lutto, il fronte unito della ribellione contro Zupan comincia
ad incrinarsi e il vortice delle accuse si complica e si esaspera.
"Voi sloveni, quando non vi suicidate, vi uccidete tra voi", sentenzia un
ragazzo asiatico, illuminando una delle chiavi di lettura di questo
riuscitissimo lungo d'esordio di Bicek. Ma, fuori dal racconto come dentro
di esso, non è tutto bianco e nero, e al giovane regista non interessa solo
la metafora della classe come riflesso in piccolo di una società ancora
divisa al suo interno tra fazioni opposte che risalgono alla seconda guerra
mondiale, né l'aderenza ad una realtà drammatica che conta in Slovenia un
numero di suicidi a tutt'oggi ancora altissimo: nel suo film, mette anche un
po' di sé, con il ricordo della radio scolastica e l'episodio cardine del
suicidio di una ragazza, che ha fatto parte della sua storia di liceale.
Soprattutto, mette in gioco una riflessione tra la modernità educativa,
intesa come deresponsabilizzazione e protezione ad oltranza dei giovani dai
dolori della vita, e vecchia scuola, più formativa ma meno empatica. Nel
mondo odierno del "Al lupo! Al lupo!", la serietà di Zupan lo porta a venir
accusato niente meno che di nazismo e ad essere identificato con un sistema
-questo sì inflessibile e immutabile- rispetto al quale la sua cultura è
invece probabilmente l'unico antidoto possibile. Detto questo, Bicek si
guarda bene dal fare del professore un martire, ma non salva nemmeno la
ragazzina introversa o il compagno che ha perso la madre, costruendo
un'escalation di sospetti e dispetti che include tutti quanti e conduce ad
una vera e propria guerra, silente e camuffata come sono i peggiori
conflitti sul nascere. L'abilità dell'autore, infine, sul terreno di un film
tutto sommato piccolo e lineare, è proprio quella di far confliggere l'alto
tasso di emotività in gioco con una messa in scena calibrata e pumblea che,
se da un lato lo reprime, dall'altro ne alimenta il fuoco sotterraneo.
Il suicidio, allora, lungi dall'essere il tema del film, è solo il pretesto
per fare della classe un simbolico ring, dove ci si avventa l'uno contro
l'altro sull'onda delle emozioni, ma, proprio per questo, si percuote senza
esclusione di colpi.
Giovedì 13 novembre, ore 21, Prima nazionale di "Tre tocchi" di Marco
Risi
Ospiti in sala il regista Marco Risi e gli attori protagonisti Leandro
Amato, Antonio Folletto e Gilles Rocca.
Regia: Marco Risi Con: Emiliano Ragno - Massimiliano Benvenuto - Antonio
Folletto - Vincenzo de Michele - Leandro Amato - Gilles Rocca - Marco
Giallini - Luca Argentero - Valentina Lodovini - Claudio Santamaria - Paolo
Sorrentino
Nel film si intrecciano sei storie. Storie di attori, o meglio, storie di
uomini, con tutte le loro passioni e frustrazioni, gioie e delusioni,
successi e fallimenti. Vite profondamente diverse ma accomunate da due
grandi passioni: il calcio e il lavoro. Ed è tra un allenamento e un provino
che le loro vite continuamente si sfiorano e si incrociano, ci svelano la
loro misera esistenza, fatta ogni tanto anche di successi e momenti di
gloria, ma sicuramente mai di vera, assoluta, felicità.
Lunedì 17, ore 20.45, ANTEPRIMA NAZIONALE del film vincitore del
Festival Internazionale di Roma, TRASH di Stephen Daldry.
Ingresso Gratuito
Quando due ragazzi che vivono rovistando tra i rifiuti nelle favelas di Rio
trovano un portafogli in mezzo ai detriti giornalieri della loro discarica
locale, non possono immaginare in che guaio si stanno cacciando. Ma quando
la polizia locale si fa avanti, offrendo loro una grande ricompensa in
cambio del portafogli, i ragazzi, Rafael (Rickson Tevez) e Gardo (Luis
Eduardo), si rendono conto dell'importanza del loro ritrovamento. Così
inizia 'Trash' di Stephen Daldry (regista di 'Billy Elliot'), presentato al
Festival del Film di Roma, che sarà nelle sale distribuito da Universal dal
27 novembre.
Con l'aiuto del loro amico Rato (Gabriel Weinstein), il trio inizia una
straordinaria avventura cercando di tenersi stretto il portafoglio, eludere
la polizia, e scoprire i segreti che nasconde. Lungo il percorso, i ragazzi
dovranno cercare di capire di chi fidarsi e di chi no e anche ovviamente
cercare di ricostruire la storia del portafogli e risalire al proprietario
José Angelo (Wagner Moura), rendendosi conto di non potersi fidare della
polizia, guidata dal pericoloso Frederico (Selton Mello).
Ma una coppia di missionari americani che lavorano nella loro favela - il
disilluso Padre Julliard (Martin Sheen) e la sua giovane assistente Olivia (Rooney
Mara) - potrebbero indirizzarli sulla strada giusta. Il tutto fino
all'ottimista finale di questo film che, specie nella seconda parte, prende
sempre più i colori della favola.
Trash è scritto da Richard Curtis e tratto dal romanzo omonimo di Andy
Mulligan, una favola young-adult. ''Più che altro è una storia di avventure,
una fiaba, basata sul libro Mulligan. Così siamo andati in Brasile a fare
sopralluoghi e abbiamo scoperto questi ragazzi e, grazie anche al loro
ottimismo, abbiamo fatto questo film che celebra appunto ottimismo e
speranza'', ha detto oggi Daldry in conferenza stampa.
E ancora, sul felice incontro con questi giovani protagonisti: ''sono
straordinari. Hanno non solo ottimismo, ma anche moralità, determinazione e
fede e sanno bene come vogliono sia nel futuro il loro paese. Una cosa che
mi ha sorpreso, chissà forse perché io vengo dall'Inghilterra un paese
cinico e depresso''.
Martedì 18 novembre, El Estudiante di Santiago Mitre
Domenica 23 novembre, ore 10.00 Il regno d'inverno di Nuri Bilge Ceylan -
Palma d'oro a Cannes
In un villaggio sperduto
dell'Anatolia, in cui giungono turisti interessati alla struttura di antiche
abitazioni che formano un tutt'uno con la roccia, Aydin è il proprietario di
un piccolo ma confortevole albergo, l'Othello. L'uomo è anche il padrone di
diverse case i cui inquilini non sono sempre in grado di pagare l'affitto e
vengono puniti con il sequestro di televisore e frigorifero. Aydin vive con
la giovane moglie Nihal e con la sorella Necla che li ha raggiunti dopo il
divorzio. L'uomo è stato attore e ora sta pensando di scrivere un libro
sulla storia del teatro turco.
Nuri Bilge Ceylan ancora una volta riesce ad emozionare con un'opera che
sfida la lunga durata uscendone vincitrice assoluta. Il regista turco
realizza una sintesi del proprio cinema dimostrando una libertà creativa che
lo affranca dalla ripetitività. Dopo il successo dei film precedenti (e in
particolare di C'era una volta in Anatolia) sarebbe stato facile tornare a
proporre atmosfere e tempi rarefatti. Ceylan opta invece per una
sceneggiatura in cui la parola domina integrandosi con un paesaggio e con
interni che riflettono e, al contempo, determinano gli stati d'animo. Se il
rimando a Shakespeare è in questa occasione palese (dal nome dell'hotel al
manifesto di un "Antonio e Cleopatra" fino a una diretta citazione) l'amato
Cechov torna a innervare l'opera del regista. Perché il film è pervaso da
una sensazione di resa alla fragilità dei rapporti mentre al contempo se ne
cerca una ragione e una soluzione (magari nella Istanbul che sostituisce
come meta desiderata la Mosca del Maestro russo). Ceylan però si
impadronisce di questo mood per operare una lettura delle relazioni
uomo/donna che, portata sullo schermo grazie ad attori straordinari, ne fa
emergere le pieghe e le piaghe più nascoste. Aydin è un possidente: possiede
edifici, possiede la cultura, possiede sua moglie o, meglio, crede di
possederla. Ha costruito intorno a lei una gabbia di attenzioni che è si è
trasformata in una prigione che lo ha isolato a sua volta. A poco valgono le
riflessioni sull'arte e sulla scrittura di quest'uomo apparentemente bonario
(il lavoro sporco tocca al suo braccio destro).
A infrangersi non sarà solo il vetro del suo fuoristrada. Perché l'uomo
Aydin si ritroverà davanti in Nihal non più la ragazza che aveva sposato ma
una giovane donna che cerca la propria, seppur limitata, autonomia e ciò
accadrà senza che lui abbia voluto accorgersi del cambiamento. Sarà un suo
intervento che considera assolutamente normale, se non addirittura doveroso,
che farà esplodere tensioni troppo a lungo represse. Nihal però avrà a sua
volta modo di sperimentare quanto ciò che noi riteniamo 'buono' per gli
altri non sempre viene percepito come tale. Il sonno invernale di Ceylan non
è un letargo pacificatore.
Martedì 25 novembre e Mercoledì 26, "Pelo Malo" di
Mariana Rondon
Junior ha nove anni, un fratellino e una madre vedova con cui vive una
relazione conflittuale nella periferia di Caracas. Disoccupata e alla
disperata ricerca di un lavoro, Marta adora il figlio minore ed è ostile al
maggiore, che pensa addirittura di 'affidare' alla suocera. Junior però non
si arrende e insegue ostinato il suo desiderio di farsi amare e accettare da
quella madre che non tollera la sua passione per la musica pop e la sua
fissazione per i capelli lisci. Riccio e scapigliato, Junior vorrebbe
stirarsi i capelli e vestirsi da cantante per fare bella figura nella foto
scolastica. Frustrato dall'animosità della donna, frequenta una vicina di
casa di pochi anni e grandi sogni e Mario, il ragazzo dei fiammiferi dai
grandi occhi neri. Creduto per questo omosessuale, Junior cederà all'abuso
(di potere) della madre, rinunciando in un gesto solo alla sua
individualità.
I capelli di Junior sono gomitoli di sogni, garbugli, traiettorie
imprevedibili con cui titola e in cui si caccia il film di Mariana Rondón,
regista, produttrice e artista venezuelana. Pelo malo è il capello cattivo,
la traccia meticcia che tradisce l'appartenenza a un'etnia di pelle scura. E
nero è il padre defunto di Junior, che da lui ha ereditato porosità,
crespezza e grossezza. La trama della sua capigliatura svolge però altri
sviluppi, perché Junior è altro da quel genitore morto ammazzato dai colpi
di pistola che esplodono nei barrios di Caracas. Una metropoli infernale e
tentacolare, in cui si muovono sei milioni di abitanti e in cui si prega o
ci si taglia i capelli davanti al Miraflores, compartecipi alla malattia del
(fu) presidente Hugo Chávez. Junior è solidale soltanto con la sua mamma,
che spia dal letto e che ammira orgoglioso nella divisa da vigilante. Da che
si ricordi ha dichiarato guerra ai suoi capelli seguendo percorsi
inafferrabili secondo la logica degli adulti e di quella madre piegata dalla
vita e indispettita dalla 'frivolezza' del figlio.
Così mentre Junior sogna la 'messa in piega', Marta lo mette in riga,
frustrando il suo bisogno di nutrimento, quello reale (si ostina a non
preparargli le banane fritte) e quello ideale (si sottrae ai suoi abbracci).
Il forte desiderio di una figura di attaccamento spinge il piccolo
protagonista a seguire e ad inseguirla comunque, in movimenti fatti di
continue deviazioni, di scarti, di bivi, di biforcazioni, di abbandoni. Che
vada a cercare un lavoro, che lo conduca a una celebrazione lavorativa o che
lo lasci in consegna a una vicina, Marta vive sbandando, va avanti e poi
torna sui suoi passi, gira su stessa e non lascia mai prevedere al figlio la
direzione che sta per prendere. Mariana Rondón è brava nel dire e nel
rappresentare un disagio emotivo che disorienta anche lo spettatore,
precipitato in uno scenario sociale e architettonico lambito dalla violenza.
Violenza che non vediamo ma avvertiamo innescata nel fuori campo e attiva
nei dialoghi di due bambini, di cui (dis)orienta i sogni e induce il bisogno
di diventare un cantante pop o una reginetta di bellezza.
Pelo Malo è una storia che si impone per la forza intrinseca dei sentimenti
messi in scena con un montaggio secco, luci scartavetrate, regia partecipa
ma poco disposta ai sentimentalismi della tv del dolore. Un film crudele
sull'impossibilità dell'amore tra una madre e un figlio. Il finale, in
questo quadro, arriva improvviso e 'tagliente', estinguendo lo sguardo del
cuore. Solo davanti allo specchio e in un suo privato immaginario, Junior
rivela qualcosa di sé, qualcosa che la madre non comprende, qualcosa che non
è necessario comprendere ma che basterebbe amare.
Multicinema Duel, via Borsellino, Caserta