Concerto-evento “Sinfonico a metà” di Pino Daniele
Reggia di Caserta - 11 luglio 2014
Comunicato stampa
Caserta, 9 luglio 2014. Metti un prezioso repertorio, poetico e
scanzonato, la voce e la chitarra blues dell'unico "nero a metà", la
sapienza di una delle più magistrali orchestre sinfoniche d'Italia,
l'incanto di un Palazzo Reale: nasce così il concerto-evento di venerdì
prossimo, 11 luglio, alla Reggia di Caserta dove Pino Daniele proporrà una
straordinaria reinterpretazione in chiave sinfonica dei suoi brani più
belli.
Lo spettacolo, dal titolo “Sinfonico a metà”, vedrà sul palco insieme a Pino
50 elementi dell'orchestra sinfonica "Roma Sinfonietta" diretta dal M°
Gianluca Podio, oltre alla band formata da Rino Zurzolo (contrabbasso),
Daniele Bonaviri (chitarra classica), Elisabetta Serio (pianoforte) ed
Alfredo Golino (batteria).
In una delle più straordinarie location della penisola vibreranno così le
note di uno dei repertori più straordinari della musica italiana, riletto e
reinterpretato in una versione inedita.
Un sound inconfondibile, diventato il marchio di fabbrica di Pino Daniele in
Italia e all’estero a partire proprio dall'album “Nero a metà”, un disco che
con le sue melodie, la fusione tra tradizione partenopea, blues, rock e
jazz, ha segnato una svolta importante per la nostra canzone, e che è ancora
oggi nella classifica Rolling Stone Italia dei “100 album più belli di
sempre”.
Proprio lo scorso 3 giugno è uscito pubblicato da Universal Music Italia
“Nero a metà” Special Extended Edition, riedizione dello storico terzo album
di Pino Daniele. Sono stati recuperati i nastri originali e rimasterizzati i
12 brani che costituivano l’album. Inoltre da quelle stesse registrazioni
del 1980 sono stati tratti due preziosi brani inediti (“Tira A Carretta” e
lo strumentale “Hotel Regina”) e nove brani in versioni alternative e demo,
che i fan avranno l’emozione di ascoltare per la prima volta.
Come nell'album, saranno tante le sorprese live in serbo anche per il
pubblico alla Reggia con una scaletta a sorpresa che certamente non deluderà
gli appassionati della buona musica e i fan dei brani storici, da “I Say I'
Sto Ccà” a “Quanno Chiove”, "A Me Me Piace 'O Blues”, “E So’ Cuntento 'E
Stà’”, “Nun Me Scoccià’”, “Alleria”, e tante tante altre.
I biglietti per l’evento, per il quale è stato allestito un palco che avrà
come sfondo la maestosa facciata della Reggia, sono ancora disponibili in
prevendita e saranno altresì acquistabili il giorno stesso del concerto al
Botteghino aperto dalle ore 17. L'Ingresso al pubblico sarà consentito dalle
ore 20, inizio show ore 21.30.
Bio
Una voce, una chitarra e un po’ di blues, di rock, di soul, di funky, di
suoni arabi, di radici napoletane, di jazz, di salsa, di samba, di taramblù,
quel posto magico dove la tarantella incontra Robert Johnson, ora anche di
melòrock.
Pino Daniele? Il nero a metà, l’americano della nuova Napoli che sognava di
veder passare la nuttata, il mascalzone latino, il Lazzaro felice, l’uomo in
blues, il musicante on the road, il neomadrigalista, cantautore che negli anni
in cui dominava il messaggio non mise mai in secondo piano la musica, pur avendo
cose da dire, e che cose.
Giuseppe Daniele, napoletano del centro storico, classe 1955. Oggi che la sua
carriera ricomincia da un’indipendenza discografica-artistica a cui ha da sempre
aspirato, appare ancor più chiara e ricca e complessa e diversa da qualsiasi
routine la parabola che l’ha portato dai vicoli dove non entra mai il sole alle
hit parade, l’Olympia di Parigi, Umbria Jazz, l’Apollo di New York, il Festival
di Varadero a Cuba, gli stadi di tutt’Italia, l'Earth Day al Circo Massimo, il
Crossroad Guitar Festival di Chicago….
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta Pino inventa una nuova lingua, anzi un
lingo, gioca con le melodie assimilate in piazza Santa Maria La Nova, i racconti
di munacielli e belle ’mbriane delle zie, il rock e il jazz come sogno
americano, il vento di rivoluzione che scuote Napoli negli anni dell'impegno che
naufragherà nel disimpegno poi detto riflusso.
Come Carosone riflette sull’America che è in lui e nella sua musica, utilizzando
la rabbia al posto dell’ironia, un piglio da capopolo newpolitano al posto dello
sfottò, che pure permea il suo canzoniere da Masaniello ma non troppo. Il suo
leggendario supergruppo mostra all’Italia che nella canzone c’è un Sud
competitivo, che sa parlare alla nazione intera anche usando il dialetto, segna
l’apice del neapolitan power, ma anche la fine: quando il sogno collettivo
dell'orgoglio vesuviano lascia il passo alle carriere soliste, Daniele prende il
volo, ma ha già scritto pagine destinate a rimanere, fondendo la melodia
partenopea con il rock-blues, la canzone di protesta con la saudade del Vesuvio.
Il brano che dà il titolo al suo disco d’esordio, “Terra mia”, del 1977, sta a
Partenope come “This land is my land” sta all’America di Woody Guthrie con
un'aggiunta di sofferenza e consapevolezza storica che non è mai
autocompatimento, ma il brano che apre il disco, “Napule è” è qualcosa di più,
il canto di una generazione, l’ultima speranza prima della disillusione, poesia
e rabbia, il dolore e il sogno impossibile di una città/nazione salvata dai
ragazzini, anzi dai “criature”, dal loro canto ingenuo, pulito. E, sia detto
senza dubbio alcuno, una melodia da applausi.
Nel 1979 “Pino Daniele” mette insieme capolavori come “Je sto vicino a te”, “Chi
tene 'o mare”, “Je so' pazzo”, “Chillo è nu buono guaglione”, “Ue man!”, “Il
mare”, “Putesse essere allero”, E cerca 'e me capì” con un’ispirazione che
lascia allibiti per lucidità e varietà: mente la canzone d’autore italiana si
piega al messaggio, lui la libera da ogni stilema, rischia le parolacce che lo
fanno trasmettere alla radio, parla di diversità e di ecologia prima che i temi
diventino di moda. Il
sound è travolgente, attorno a lui i colleghi cantautori puntano solo sulle
parole, qui c'è ritmo da vendere, grondano groove imparati nei locali degli
americani della Nato a Napoli.
“Nero a metà”, omaggio a Mario Musella e prima autodefinizione in musica, è il
disco del grande successo, l’incrocio definitivo tra melodie veraci e richiami
rock applicati a raccontare sentimenti come l’”Alleria” o l’”Appocundria”, prima
di dichiarare la propria passione: “A me me piace ‘o blues”. Nell’Italia degli
slogan politici accompagnati da chitarre scordate, il treno del supergruppo
newpolitano fa faville, quel blues latino apre il mitico concerto di Bob Marley
a San Siro. L’apoteosi di quella prima stagione, l’apice e la fine di quell’orgoglio
napoletano si registra il 19 settembre 1981: piazza del Plebiscito, allora un
parcheggio e non certo il salotto buono della città, si riempie di duecentomila
persone, nessune se le aspettava, forse è il primo megaconcerto italiano. Tullio
De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito e uno straordinario James
Senese accendono una notte tenerissima, indimenticabile.
Ma Pino, che pure cattura quella stagione in un altro lp epocale come “Vai mò”
(1981) e in brani come “Yes I know my way”, “Viento 'e terra”, “Sulo pe’ parlà”
e “Have you seen my shoes”, è talento irrequieto, ha bisogno di guardare al
mondo, Napoli non gli starà mai
stretta, ma il suo futuro ora è una raccolta impressionante di collaborazioni
internazionali, di aperture ad altri suoni, altre storie.
“Bella ‘mbriana”, del 1982, parla di tradizioni dimenticate, anticipa la
stagione della world music che sarà, eppure coinvolge jazzisti del calibro di
Wayne Shorter ed Alphonso Johnson, continuando a mischiare napoletano, italiano
ed inglese: “Tutta ‘n’ata storia” e “I got the blues” si muovono
tra monacielli ed antiche leggende della città nata con il canto delle sirene.
Due anni dopo, “Musicante” incontra le percussioni brasiliane di Nanà
Vasconcelos, la tromba terapeutica di Don Cherry e i suoni d’Africa, senza
dimenticare il genius loci di “Lazzari felici” o la capacità di parlare di
argomenti-tabù come quelli del contrabbando in mano alla camorra in “Stella
nera”.
Dal vivo, poi, non ce n’è per nessuno, come sintetizza “Sciò live” (’84) che si
spara i sassofoni solisti di Gato Barbieri e Bob Berg accanto a una sezione di
fiati formata da Larry Nocella, Juan Pablo Torres e Adalberto Lara. “Ferry boat
(’95) guarda ancora ai Sud del mondo, balla la “Dance of baia”, fa salire a
bordo nuovi sessionmen stellari come Steve Gadd e Richard Tee. Il Festival di
Montreux, il Canada, l’Olympia di Parigi, il Festival di Varadero a Cuba e
l’Arena di Verona aprono le porte alla corrente del golfo che arriva con Pino,
italiano da esportazione, ora anche produttore, di Richie Havens (“Non ci potevo
credere, sono cresciuto con il mito di “Woodstock” ed ora lavoro
con l’uomo di “Freedom”) in “Common ground” (’83).
Esplorate le strade del blues, del jazz-rock, di quella che in quegli anni si
chiama fusion, Daniele guarda sempre di più ai suoni del mondo, i concerti in
Francia gli mostrano che esiste una musica “altra”, lontana dal dominio
angloamericano, vicina tra l’altro a quella delle sue radici. “Bonne soirèe”
(’87) è un canto latino, mediterraneo, africano, arabo, impreziosita dai
contributi di Mino Cinelu e Jerry Marotta. L’arab rock inizia qui e prosegue in
“Schizzichea with love” (’88), mentre continua anche la collaborazione con
l’amico Massimo Troisi, per cui ha già scritto le colonne sonore di “Ricomincio
da tre” (’81) e “Le vie del signore sono finite” (’87), prima di sfociare nel
capolavoro di “Quando”, scritta con l’amico per “Pensavo fosse amore e invece
era un calesse” (’91).
“Mascalzone latino” (’89) è un ritorno all’acustico, tra omaggi alla Magnani
(“Anna verrà”) e San Gennaro (“Faccia gialla”), tra “Sambaccussì” e “Carte e
cartuscelle”. Un disco delicato, importante, ma anche di transizione, mentre il
fronte del palco fa registrare il tour europeo di "The night of the guitar",
supergruppo di virtuosi della sei corde che vede il napoletano al fianco di
gente del calibro di Randy California, Robby Krieger, Leslie West, Phil
Manzanera, Steve Hunter...
Gli anni Novanta incombono con un altro cambio di pelle, con un’altra svolta
creativa: Un uomo in blues” (’91) sa cantare l’Italia che cambia: ”’O scarrafone”
denuncia la xenofobia nell’aria con ironia e ritmo, mentre in “Che
soddisfazione” garrisce la chitarra di Mick Goodrick e il titolo del disco, un
successo in hit parade, gioca ancora una volta a trovare un nuovo appellativo
per il cantautore. “Sotto ‘o sole” ('92) schiera la voce recitante di Troisi in
“Saglie, saglie”, due anni dopo arriva il boom di “Che Dio ti benedica” con
Ornella Muti protagonista del videoclip del brano che dà il titolo all’album,
uno straordinario successo commerciale che presenta Daniele a una nuova
generazione di fans e con lui i suoi ospiti d’eccezione: Chick Corea, Ralph
Towner, ma anche Bruno De Filippi.
La forma canzone, la scelta dell’italiano come lingua principale, una maturità
vocale evidente, il sound d’impatto sono le caratteristiche di questa nuova
stagione, che dal vivo convive sempre con gli antichi splendori come testimonia
il live “E sona mò” (’94). Un pop-rock coinvolgentissimo abbinato a raffinatezze
strumentali e testi sempre più attenti all’allarme ecologico, come confermato da
“Non calpestare i fiori del deserto” (’95) che – forte dei contributi di
Jovanotti e di Irene Grandi - non a caso ritorna sulle strade della world music
tra una vittoria al Festivalbar e due concerti con Pat Metheny, che peraltro
arrivano dopo lo storico tour con Jovanotti ed Eros Ramazzotti.
Pino è l’uomo delle collaborazioni, non dei duetti tanto per fare, divide il
palco o lo studio di registrazione con i grandi jazzisti come con Luciano
Pavarotti, è sempre più un suonautore, lasciando spesso alla sua chitarra il
compito di parlare per lui. Noa, Giorgia e Raiz degli Almamegretta sono le guest
star di “Dimmi cosa succede sulla terra” (’97), forte di superhit come “Che male
c’è” e “Dubbi non ho”, “Yes I know my way” ('98) rivitalizza l’antico cavallo di
battaglia con Jim Kerr dei Simple Minds.
“Come un gelato all'equatore” (‘99) e “Medina” (2001) alternano l’italiano al
napoletano, le canzoni d’amore a quelle più sociali, il pop al ritorno
all’Africa (ci sono Faudel, Salif Keta e Lotfi Bushnaq al fianco di Peter
Erskine, Victor Bailey, Rachel Z, Miriam Sullivan, Mike Manieri), ai temi
antirazzisti, alla collaborazione con i 99 Posse, a confermare l’interesse del
nero a metà per i suoi nipotini, la sua volontà di intercettare sempre le novità
di qualità che arrivano dalla sua Napoli. “Zio Pino” lo chiamano, con affetto
Raiz come Zulù, a spiegare quanto sia importante la sua lezione anche per le
scene successive.
“Passi d’autore” (2004) è forse il più ambizioso dei progetti danieliani, tra
omaggi a Che Guevara, Django Reinhardt e Maradona, tra world music e il richiamo
ai madrigali di Gesualdo da Venosa. Mentre critica e nostalgici vorrebbero
inchiodarlo al suo passato, Pino studia musica, cerca nuovi stimoli e nuovi
approdi. “Iguana cafè” (2005) è una sintesi, spiega il sottotitolo, di “Latin
blues e melodie” che riprende “It’s now or never”, ovvero “’O sole mio” nella
versione presleyana, come singolo, reclamando insieme il doppio passaporto di
napoletano d’America.
Prima c’era stato un altro supertour, quello con Francesco De Gregori, Fiorella
Mannoia e Ron, questa volta fortunatamente testimoniato da un cd e un dvd, in
cui i quattro si dividono e si scambiano i repertori come mai visto prima, né
dopo, nella storia della canzone italiana.
“Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui” (2007) ritrova Tony Esposito e prepara
la strada a un evento storico, quello del triplo cd antologico con inediti
“Ricomincio da 30”, che cita Troisi e riforma il supergruppo (Tullio De Piscopo,
James Senese, Tony Esposito, Rino Zurzolo e JoeAmoruso) con l’aggiunta di Chiara
Civello e Al di Meola. L’8 luglio il ritrovato dream team vesuviano espugna di
nuovo piazza del Plebiscito, ma questa volta ci sono pure Giorgia, Irene Grandi,
Avion Travel, Nino D'Angelo, Gigi D'Alessio.
Poi è storia recente tra “Electric jam” del 2009 con il rap di J-Ax e “Boogie
boogie man” dell’anno successivo, in cui, oltre all’ex Articolo 31 spuntano
Mina, Franco Battiato e Mario Biondi per continuare il gioco delle rivisitazioni
eccellenti di un passato che non passa perché è ancora presente, così presente
da brillare persino con la griffe di Eric Clapton che cesella alla sua maniera
una "Napule è" nell'estate 2011 in quello stadio di Cava de' Tirreni che ha già
visto protagonista tante volte il Lazzaro felice.
Poi è il momento del melòrock de “La Grande Madre” (2012), il primo disco
prodotto dalla sua etichetta Blue Drag, grazie alla quale il cantautore entra
nel novero degli artisti indipendenti. Segue il grande ritorno di Pino Daniele
in concerto, con un tour (in teatri e palasport) nelle principali città
italiane, in Svizzera e negli Stati Uniti, dove fa registrare il tutto esaurito.
Ed è con le sei date sold out al Teatro Palapartenope, con l’evento “Tutta N’Ata
Storia – Live in Napoli” che il “mascalzone latino” fa un regalo alla sua città
e al suo pubblico: uno spettacolo nuovo, che parte dalle radici della canzone
napoletana per raccontare i vari percorsi artistici intrapresi dai grandi
musicisti che hanno fatto la storia della musica moderna “Made In Napoli” degli
ultimi 40 anni, come Enzo Gragnaniello, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, James
Senese, Joe Amoruso e lo stesso Rino Zurzolo. Un evento imperdibile per tutti
gli amanti del rock, del blues e del jazz dal sapore mediterraneo, “marchio di
fabbrica” che Pino Daniele è riuscito ad esportare in tutto il mondo e a far
apprezzare da grandi artisti internazionali, come Eric Clapton, Wayne Shorter,
Pat Metheny e tanti altri.
Il 22 gennaio 2013 esce “Tutta N'Ata Storia - Vai Mo' - Live in Napoli”, il
Cd+Dvd dello storico concerto del con cui Pino Daniele festeggiò i 30 anni di
carriera in Piazza del Plebiscito a Napoli (2008): il cofanetto, oltre a 2 brani
inediti con Phil Palmer (coproduttore insieme a Pino Daniele), Lucy Jules, Steve
Ferrone e Michael Feat, contiene 3 importanti duetti con Giorgia, Irene Grandi e
Avion Travel.
Vai Pino, vai ancora, vai mò.