Toni Servillo alla Sun di Caserta

Caserta, 6 Giugno 2013

Articolo di Giuseppe Vuolo

Si inizia con una sincera standing ovation, un applauso carico di affetto, e lui lo avverte: sa di essere a casa.
Benché abbia girato il mondo in lungo e in largo, riscuotendo in ogni dove successi e riconoscimenti, Toni Servillo non nasconde una certa sottile emozione nel sedersi davanti alla marea di persone venuta ad ascoltarlo al Polo scientifico della SUN, nella sua Caserta; gli gridano entusiasti "E' la tua città!" e lui, divertito, è d'accordo: "E' la mia città... e infatti so' venut'appere".
L'attore, invitato dall'Ateneo per il ciclo di incontri SunCreaCultura, è uno che il territorio l'ha vissuto: nato ad Afragola nel 1959, si trasferisce dopo pochi anni a Caserta e da lì comincia il suo cammino, dalle stanze di Via Maielli prese in affitto come laboratorio, nel cuore della provincia degli anni Sessanta e Settanta (ma dov'è finita la Caserta che aveva cinque cinema?), i tanti sacrifici, e poi l'incontro col grande schermo, tre David di Donatello, tre Nastri d'Argento, il recitare in film che sono già classici, fino all'ultimissimo "La grande bellezza", quarto tassello del sodalizio col regista Paolo Sorrentino. E in mezzo tanto, tanto teatro. Perché?
Servillo non ha mai nascosto che la dimensione teatrale è quella a lui più confacente: perché il teatro è slow, è un luogo di vera partecipazione nel senso che tutti quanti vi intervengano - autore, interprete, spettatori - sono chiamati a partecipare, a ritagliare del tempo da destinare a se stessi (spiegazione che ricorda molto la predilezione di De Crescenzo/Bellavista per il bagno piuttosto che per la doccia): se il compito dell'attore è rendere vivo un testo, di "farlo palpitare" - correndo anche il rischio di sbagliare, perché "il teatro è come la vita: è fatto di inciampi, non è un mondo perfetto" -, il testo a sua volta può vivere solo a contatto col pubblico, proprio come il vino che per essere apprezzato dev'essere prima decantato. Per questo le repliche non sono sterile ripetizione bensì un continuo approfondimento che l'attore compie sul proprio personaggio, un modo per conoscerlo meglio scoprendone nuove sfumature serata dopo serata. E per farlo al meglio deve conoscere l'Uomo, nutrirsi di umanità, e in questo Napoli è un formidabile habitat, un imbattibile palcoscenico en plein air

Già, Napoli e il suo straordinario patrimonio artistico, che trovano proprio in Servillo un grande estimatore e divulgatore, soprattutto nell'opera di Eduardo, apprezzata dalla Russia al Sudamerica proprio per il suo valore universale (il prossimo impegno lo porterà a rappresentare "Le voci di dentro" davanti alla comunità italoamericana di Chicago, spettacolo preparato in parte anche al Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere). Certo, dai tempi di Eduardo il mondo è cambiato e tanto, anche: oggi si è imposta un'informazione frammentaria e spettacolarizzata, il teatro non è più visto come un rito sociale, un luogo dove il popolo si in-forma, così prendendo parte alla crescita di una comune coscienza civile.
Eppure il ruolo dell'attore deve rimanere quello di servire qualcuno e di servire a qualcuno, perché "Chi interpreta si assume la responsabilità di trasmettere" (ragionamento valido a qualsiasi livello, non solo in campo artistico). Il teatro secondo Servillo, essendo partecipazione, deve comunicare e coinvolgere il pubblico alimentando la conoscenza: "Io cerco di articolare altri sé che ognuno di noi ha dentro e che l'attore mette in moto". E poi prosegue: "Compito dell'interprete è mettersi al servizio non tanto del personaggio quanto dell'autore; grandi personaggi, come Luca Cupiello o Filumena Marturano, non esistono: prendono vita solo quando l'attore, scovando dentro di sé qualcosa di quei personaggi, riesce ad incarnarli e a farli suoi. Per questo, alla fine, non è tanto l'attore che dà qualcosa al personaggio quanto il personaggio che dona qualcosa all'attore".

E' una folla attenta, quella che segue la conversazione inframmezzata dalle domande degli studenti. Anche quando prendono la parola il Rettore Rossi o il Prof. Cotticelli, titolare della cattedra di Storia del teatro moderno e contemporaneo, la scena cambia poco: gli occhi dei ragazzi che affollano l'aula Di Blasio rimangono su di lui, intenti a carpire ogni espressione, ogni smorfia, aspettando magari di scorgere da un momento all'altro la maschera impassibile di Titta Di Girolamo o il sorriso sornione del Divo Giulio.

E così, da Via Maielli un casertano è arrivato alla fama internazionale e si è presentato davanti ai giovani della SUN per questo: per ricordarci che no, la nostra terra non è "tutta 'na camorra": fondamentale è non smettere di lottare, inseguire i propri sogni con caparbietà e tanta passione. E allo stesso modo non rinunciare alla propria terra, rimanere sul territorio per dare - ed essere - "una testimonianza, un esempio, una speranza". Alla domanda: "Dato che una risorsa del territorio è indubbiamente la sua cultura, come può essere utile al nostro territorio una presenza così importante come la tua?", la sua risposta è... da Tony Pisapia: "Posso risponderti con una sola parola? Crederci".

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