I Monumenti funerari di Capua antica da riscoprire
S Prisco e Curti (CE), 22 aprile 2012
Articolo di Clemente Tecchia
In conclusione della settimana della cultura promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dal FAI, domenica 22 sono state organizzate visite guidate ai due celebri sepolcri dell’antica Capua, le Carceri Vecchie e la Conocchia, già ritratti da artisti quali Piranesi e menzionati dai viaggiatori del Grand Tour.
In una giornata dal cielo plumbeo in tono con il carattere funebre dei monumenti i cittadini hanno potuto così penetrare queste testimonianze del tempo che fu, tanto visibili da essere ancora oggi usate quali punti di riferimento ma al contempo misteriose, a cominciare dalle fantasiose denominazioni popolari che sono state loro attribuite. Sottolineamo fin da subito come l’operazione sia stata resa possibile grazie all’impegno e al lavoro del gruppo archeologico “F.S. Gualtieri” e di alcuni volontari tra i quali la squadra maschile di rugby cittadina: si è provveduto a ripulire alla meglio l’area delle Carceri che, essendo sotto elevata rispetto al moderno piano stradale, era ingombra di immondizie e di un rigoglioso roveto. L’afflusso di visitatori è stato notevole, oltre duecento!, il che conferma l’interesse del pubblico per tali eventi e una sensibilità verso la riappropriazione civica e civile dei monumenti in questione che dovrebbe far riflettere le istituzioni preposte alla loro cura. Si auspica quindi che soprattutto le Carceri Vecchie siano al più presto sistemate adeguatamente e riaperte in permanenza, e che i volontari non siano lasciati soli: gli stessi lanciano un appello accorato affinché siano aiutati dai municipi di competenza e dalla soprintendenza, gli uni come l’altra troppo spesso impediti a operare per cavilli burocratici ancor più che per svogliatezza.
interno delle Carceri
Le Carceri Vecchie sono infatti un monumento affascinante, capace di parlare
tanto allo studioso di archeologia quanto al profano. Come per la Conocchia
si tratta di un’esplicita e voluta testimonianza dello status sociale
raggiunto dal ricchissimo ceto superiore della metropoli campana; il
mausoleo, il più grande di epoca romana che si trovi nel Sud, è una visione
consueta per chi viaggia sulla trafficata via Appia che gli è adiacente, ma
è riuscito a serbare la sua bellezza. Questa appare scesi i pochi gradini
che ci immettono alla quota di calpestio originale: girando intorno alla
rotonda si apprezza l’originario gioco cromatico dei materiali di
costruzione, bianchi sassi calcarei alternati a rossi mattoni in un
succedersi di nicchie separate da semicolonne successivamente rivestite,
come tutto l’edificio, di una ricca decorazione a stucco certamente dipinta
e ora perduta. Da ciò si comprende la complessità della struttura, il cui
nucleo originario è del I sec. a. C. ma che fu rimaneggiata uno o due secoli
dopo. Entrando nella camera sepolcrale vera e propria si resta affascinati,
forse per la destinazione funebre, forse per la luce che spiove dall’alto
della volta a crociera grazie a quattro finestrelle “a bocca di lupo” e che
fendendo la penombra conferisce al luogo un’aura sospesa e quasi sacrale.
Alle pareti, la sorpresa più grande: entro profonde nicchie sussistono
ancora scampoli della decorazione pittorica originale, attribuibile al terzo
stile pompeiano e raffigurante un’illusoria architettura di finestre
inquadrate da colonnine corinzie su fondo giallino e che, al di là
dell’esiguità della superficie, nella resa minuziosa dei particolari
tradisce la mano di un eccellente decoratore. Il monumento fu scavato negli
anni sessanta dall’archeologo W. Johannowsky, ma da allora non si sono avute
altre ricognizioni esaurienti né tantomeno alcuna pubblicazione.
La Conocchia è più tarda delle Carceri (probabilmente del I-II sec. d. C.),
e come queste apparteneva a una qualche ricca famiglia capuana. Il basamento
ospita una semplice camera con nicchie alle pareti nelle quali venivano
poste le urne cinerarie, ed è in uno stato di conservazione indubitabilmente
migliore (l’edificio come lo vediamo, in realtà, è frutto di un assai
radicale e poco filologico restauro operato dai Borbone, ancorché
provvidenziale visto lo stato di rovina nel quale versava). Suggestiona la
leggenda che vuole sepolta qui Domitilla, nipote dell’imperatore Domiziano
martirizzata in quanto cristiana.
consulta: XIV Settimana della
Cultura