Il teatro fuori del teatro: "Il Macero" di Roberto Solofria alla Libreria Hamletica
Maddaloni (CE), 16 Marzo 2012
Articolo di Giuseppe Vuolo
Si apre con "Il macero" l'ambizioso ciclo di eventi che, come promesso sin
dal titolo, mira a portare da Hamletica libri "Il teatro fuori del teatro".
L'interessante esperimento di assegnare una diversa destinazione a luoghi
che comunemente vediamo solo in base all'uso che ne facciamo ha preso forma
venerdì sera nella saletta del piano inferiore della libreria, ed è
destinato a ripetersi con altri due spettacoli tra Aprile e Maggio,
anch'essi caratterizzati dal sistema dello sciapò (il pubblico entra
gratutitamente e a fine serata, se lo spettacolo è stato di suo gradimento,
contribuisce con un'offerta libera).
"Il macero" è l'adattamento teatrale di un romanzo di Nanni Balestrini,
"Sandokan - Storia di camorra", che il poeta e scrittore milanese ha
realizzato dopo essere rimasto colpito dalle profonde contraddizioni della
mentalità camorristica (che, direbbe Falcone, è cosa ben diversa dal
fenomeno camorristico), che lo hanno spinto a documentarsi pioneristicamente
- essendo stato pubblicato nel 2004, il libro è anteriore a quel vero e
proprio Big Bang dei romanzi-inchiesta sulla criminalità organizzata che è
stato "Gomorra" di Saviano - sulla realtà dei territori governati dal Clan
dei Casalesi. Dal libro è stato, poi, quasi subito tratto questo monologo,
scritto e interpretato da Roberto Solofria del Teatro Civico 14, assistito
da Ilaria delli Paoli in quest'occasione "in cabina di regia" a coordinare
luci e musiche, le quali contribuiscono non poco a "dare profondità" alla
scena. Ad accogliere pubblico e attore, infatti, c'è una scenografia minima,
anche un po' spiazzante per chi si aspettava una scena curata fin nei minimi
dettagli, magari con quadri e mobili: la dimostrazione che per fare teatro
basta un muro desolatamente bianco, sul quale è appesa una stampella con un
maglioncino azzurro, alcune candele in un angolo, oggetti vari qua e là; che
non servono palchi o pedane, ma basta uno spazio minuscolo perimetrato da
qualche luce.
La storia che il Teatro Civico mette in scena è quella di un ragazzo di
Casal di Principe diverso dai suoi coetanei, che mostra una sensibilità
inusuale rispetto a quella delle persone con cui cresce, sensibilità che lo
porta ad un'istintiva intolleranza al degrado delle nostre terre,
all'illegalità diffusa e al disinteresse dello Stato centrale, delle
amministrazioni periferiche e delle Forze dell'ordine. Il racconto prende
avvio dalla sua adolescenza, prosegue con gli anni del liceo e si conclude
nella rassegnazione del protagonista che abbandona sconfitto il suo paese
con la promessa di non farvi più ritorno. Una delle scene più belle, dove il
protagonista danza piano stringendo a sé un maglioncino femminile
immaginando di ballare con una ragazza, descrive molto bene questo senso di
solitudine, la sua emarginazione, l'alienazione rispetto ai "valori"
dominanti nel suo territorio, questo profondo bisogno/desiderio di
normalità, di respirare una mentalità differente, cosa che il ragazzo non
trova in una terra condannata dalla generale accettazione delle ingiustizie
quotidiane.
Quella de "Il macero" è una narrazione non lineare ma frammentaria, nervosa,
che salta da un'immagine all'altra in un incedere che ben rende nella
recitazione il particolare stile di Balestrini del tutto privo di
punteggiatura. La rappresentazione prende subito ritmo e lo mantiene,
Solofria porta il dialogo ora a distendersi in uno stile colloquiale ora ad
accelerare in preda al profondo sdegno - non solo del protagonista ma di
tutti noi - per quanto accade tutt'oggi sotto i nostri occhi.
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marzo