Settembre Al Borgo. About Capossela: Marinai, Profeti e Balene

Casertavecchia (ce), 3 settembre 2011

Articolo di Rossella Barsali

Tu sai cose che altri ancora non sanno. Oppure sai ancora cose che altri hanno già dimenticato”.
(R.B. per capitan V. C.)

L’Oltre e L’Altrove sono dimensioni familiari a Capossela: per una sera almeno Settembre al Borgo è diventato Settembre a Bordo, approdo designato per la sua vicinanza ad Ischia e ai luoghi di omerica memoria da una Ciurma che viene da un Altrove per condurci Oltre. Nell’Arca che ospita il pubblico misto (di tutto un po’, molto eterogeneo) corso ad applaudire il suo Ismaele (l’unico sopravvissuto alla burrasca e al naufragio della propria esistenza, come capita a quanti confessano di aver vissuto) campeggia una straordinaria cambusa strumentale, protetta da una fila di gigantesche costole di Balena, che si aprono e chiudono in un respiro potente ed intenzionale.
Conto almeno 19 strumenti sul palco e nella prua del “Pequod”, dalla brutale Sega Musicale, al Bombardino, dalle Conchiglie del M.stro “Daggoo” Ottolini al Gong delle Nuvole, dal Theremin al Glockenspiel e altre diavolerie acustiche ed elettriche inventate per la crociera negli “Oceani Oilalà”. Basterebbe da solo il pianoforte (affettuosamente riproposto anche nelle sue versioni più antiche) a mezzacoda dove Capitan Achab-Capossela pianta il doblone d’oro di ricompensa a chi avvista la Balena Bianca (“La bianchezza della Balena”, grande esclusa in un grande concerto), ma quello è riservato per momenti più intimi, quelli in cui “la birra non può bastare, in cui la vita si ripresenta per intero, quella vissuta e quella dall’altra parte della vita”, dove c’è solo una luce, fioca, e 33+33 cl di birra vicinissimi alla sorridente dentiera dello strumento dove Capossela cambia…
Invece, il Marinaio che ci accoglie a bordo da prova di conoscere il Mare, dai suoi abissi (“Il grande Leviatano”, corale e lugubre, col coro dei “marinai” a creare incubi bui e terrificanti) al pelo d’acqua, (“Oceano Oilalà”, una giga che sa d’Irlanda, fumo di pipa e brividi al contatto con la juta sottocoperta), seguita a sorpresa da una canagliesca “Dalla parte di Spessotto”, che rivela tutta l’ironia garbata del Nostro. Ma il richiamo degli oceani di Conrad e Melville, i giri di chiglia e le impiccagioni al pennone sono irresistibili, quanto cantare della morte di un innocente: “Billy Bud” è pezzo degno del guru indiscutibile di Capossela, l’impareggiabile Tom Waits; e l’atmosfera ricreata sul palco – catene e costole del Leviatano chiuse nell’ultimo fiato dell’impiccato - è efficace intro per i due pezzi successivi, intervallati da citazioni bibliche e melvilliane, “Lord Jim” e “Fuochi Fatui” con un incisivo flauto traverso del M.stro “Tashtego” Succi.
Ogni Marinaio che si rispetti conosce anche le creature degli abissi, ed ecco la splendida “Polpo d’Amor”, la beffa delle 8 braccia che non hanno nessun amante da stringere (ma “Che coss’è l’amor?” ce lo spiega in un inimitabile bis intersecato con “E la barca tornò sola” omaggio a Carosone…), e “Pryntyl”, ispirata da Céline, dove una Sirena non proprio con la coda canta in Sirenese, gorgheggiando per bocca delle “sorelle Mari netti”, citazione delle “sorelle Bandiera” nei lontani anni ’80, una sorta di drag queen “tanto per non scontentare i gusti di nessuno”. Per concludere l’omaggio alle creature del mare e come collegamento ai miti mostruosi, ecco “Il cha cha cha della Medusa”, ed il Marinaio si trasforma nell’Aedo, e veleggia verso le omeriche sponde: quindi “Vinocolo” con tanto di maschera Ciclope, “La lancia del Pelide” e “Calipso”, cioè l’Oblìo che genera Immortalità, e l’incontro col Minotauro (il sé stesso del “Nel Niente sotto il Sole”, la sua incessante ricerca attraverso il Mito) con la sua “Brucia Troia”.
“Un’antica metafora vuole che nel temerario navigare gli uomini trovino virtù e conoscenza, e che là, sullo spaesante mare, lontano dalla terraferma e dalle ferme leggi degli uomini, meglio comprendano la loro esistenza ed il loro destino”. Il Marinaio cerca e trova il grappolo di stelle che gli indicano la direzione, “Le Pleiadi”, interroga i profeti, pagani e biblici (“Dimmi Tiresia”) e segue la rotta di Ulisse (“Nostos”), ma le acque sono diverse, adesso: gli stessi fiati della Ciurma, il fondissimo contrabbasso, le tastiere e l’armonio e soprattutto le conchiglie inneggiano a ciò che il mare restituisce, una “Madonna delle Conchiglie”, un “Uomo vivo”, simulacri di un rimedio affascinante, l’impronunciabile Fede, da cui “il mistero, e lo scandalo della carne”. Così, inutile avvicinarsi con una rosa al palco: Capossela non raccoglie l’implicito invito, morso com’è dalla Taranta del suo “Ballo di S. Vito”. L’approdo, l’ultimo, il suo “Le Sirene” sussurata al piano è l’invito a tornare al largo. Altrove. Oltre.

consulta: 41 Esima Edizione di Settembre Al Borgo

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