Volo Così... il concerto indimenticabile di Paola Turci
Caserta, 9 Gennaio 2011
Articolo di Rossella Barsali, foto di Alessandro Santulli
9 Gennaio. Che Paola Turci sia una tosta e che canti da donna a donne lo intuivo già da prima dell’inizio dello straordinario concerto che ci ha regalato l’altra sera al Black Cat; che quindi, avendo un pubblico prevalentemente femminile, sia molto accurata (invece che curata - concetto ormai obsoleto - le donne del 3° millennio allungano le parole, approfondendo i concetti), me l’aspettavo. Ma non così! Davvero, non così com’è dal vivo.
Stupenda e completa musicista, su disco o in
televisione perde il 70%. Dotata di bella pasta vocale, che modula con
eleganza mai affettata, fino a portare la voce ad incrinarsi, senza mai
perdere tono, senza sfasature, senza eccessi. Ma è quella incrinatura, che a
volte compare, a squarciare di vividezza le sue canzoni, ad aggiungere
tenerezza, a raggiungere il femminile profondo. Si permette di aprire la sua
voce solo in un paio di occasioni ed una è indimenticabile. Arrochisce, dopo
averla spiegata come un’ala, in “Dio, come ti amo” di Modugno, uno dei 4
cantautori italiani da lei amati. Lei premette di non aver mai pensato di
scrivere canzoni d’amore, e che ne voleva una che squarciasse: l’ha
interpreta così, come uno squarcio.
Affiancata da Pierpaolo Ranieri “…il miglior bassista mai avuto…” (sua
definizione), con basso acustico e contrabbasso elettrico e Massimo Cusato
“…qualunque cosa percuota, quella suona…” (sempre sua) dietro cassa,
rullanti e percussioni, la Turci racconta di sé - con incerta timidezza - e
delle cantautrici che hanno scritto per lei buona parte delle canzoni
dell’ultima fatica, quel “Giorni di Rose” uscito all’inizio della primavera
2010, anno fausto per lei, e, a questo punto, per chi la segue. Soprattutto
racconta di Marina Rei “…l’unica batterista donna in Italia…” e della
“…ragazza che guarda le montagne…” (cfr Naïf Hérin) di cui interpreta una
freschissima “Goccia” con kazoo borbottato tra un arpeggio e l’altro, e la
italo-francese “Tout le jour”.
Poi c’è anche il tempo di travolgere tutti interpretando “Si può” di Giorgio
Gaber con voce e basso all’unisono, e la citazione dei Police (“Message in a
bottle”) lanciata lì come… un messaggio nella bottiglia fra una canzone e
l’altra.
Composta, generosa con i suoi musicisti che mai invadono gli spazi, intrisa
di una sensualità mai smaccata, autentica, consapevole e pur tuttavia
sorpresa dell’effetto trascinante che ha sul pubblico… emerge a poco a poco
un’affinità di presenza scenica che mi ricorda altro luogo, altro palco,
altro pubblico, - ma stranamente simile per partecipazione - altra artista:
stessa grazia, stessa potenza evocativa, solo che Paola Turci ne è
bellissima trasfigurazione. Ecco, improvvisamente mi sono vista davanti
Patti Smith.