Al Giardino degli Aranci: Quartieri Jazz
Maddaloni (CE), 8 gennaio 2010
Articolo di Giuseppe Vuolo
Maddaloni 8 gennaio. Finalmente riparte la stagione jazzistica al
Giardino degli Aranci. Evidentemente, anche se a Maddaloni saranno sempre
più seguiti i cantanti neomelodici rispetto al jazz, qualcuno ha pensato che
il progetto in questione fosse troppo bello per essere abbandonato. Già dai
suoi esordi molti avranno pensato che non sarebbe durato a lungo. Chissà.
Nel frattempo ce lo godiamo, complice una nuova gestione del locale che la
scorsa estate ha ospitato nomi come Dario Deidda, Pietro Condorelli,
Giovanni Amato, Enzo Faraldo, Livio Lamonea, Francesco Nastro.
Si riparte coi napoletani Quartieri Jazz, anch’essi già ospiti del Giardino.
La formazione è la stessa di allora: Riccardo Villari al violino, Luigi
Esposito al piano, Ciro Imperato al basso, Ciro Jovine alla batteria. Buon
ultimo, Mario Romano, vero e proprio frontman del quintetto. Anche il
repertorio è più o meno lo stesso, incentrato su standards manouche pieni di
virtuosismi e giri che richiamano sonorità gipsy e tzigane.
Spicca, dal primo momento, la bravura tecnica dei musicisti: chitarra e
violino passano interi brani a rincorrersi, a duettare, il più delle volte
ad eseguire contemporaneamente le stesse frasi musicali, e già questo non
lascia indifferenti. Ma degno di nota è anche l’apporto che dà la sezione
ritmica del gruppo, per non parlare degli assolo di Esposito,del quale il
pubblico ha avuto modo di apprezzare anche alcune composizioni.
L’atmosfera gitana che si va creando viene colorita spesso e volentieri da
vari siparietti che il gruppo ha con il suo seguito di aficionados, per
tutta la serata invitati scherzosamente a non dimenticare la musica coi
piaceri della buona tavola. Il clima è più faceto del normale quando, a metà
serata, viene in luce un talento di Ciro Imperato sconosciuto ai più: quello
per le imitazioni (per la precisione, quelle di Bertinotti, Guccini e
Moggi). Talento ulteriore rispetto a quello che non gli si può negare quando
col suo basso indirizza sapientemente i compagni, e che gli si rivela anche
utile per tappare un vuoto nello spettacolo causato da problemi tecnici al
violino (ma è un buon pretesto per rivederlo all’opera, stavolta con
l’imitazione di Ignazio “Geronimo!” La Russa).
Insomma: bravi, simpatici, affiatati, tecnicamente non troppo seriosi né
troppo frivoli. Lo spettacolo potrebbe finire così, i Quartieri Jazz
potrebbero benissimo tornare alle loro serate napoletane, lasciando che a
rappresentare degnamente la performance siano brani molto ben riusciti come
“Mambo italiano” (“in onore di Sofia Loren”), “Rum e speranzella” o “Marina
di Chiaiolella”, ma effettivamente ci voleva un pezzo che descrivesse
appieno la loro bravura assieme alla loro sottile ecletticità; e così è
stato: sorridendo, Mario Romano annuncia “Se siete ubriachi, questo pezzo vi
piacerà”. E detto questo, attaccano la geniale “Rythme futur” di Django
Reinahrdt, l’ideatore stesso del gipsy jazz, l’autore imprescindibile per
chi suona questo genere musicale.
È stato il tassello che ha completato il quadro, la giusta occasione per
dimostrare ancora una volta su quali notevoli basi tecniche questi ragazzi
fondano la loro musica. Non resta che applaudire.