Angelo Callipo premiato alla XII edizione del Premio Osservatorio di Bari
Bari, 13 dicembre 2009
Comunicato stampa
La XII edizione del Premio Osservatorio di Bari, sezione teatro, ha
conferito ad Angelo Callipo una menzione d’onore per il suo testo “Il mio
corpo ferito” che, tra l’altro, proprio in questi giorni (4,5,6 dicembre) è
in scena al Teatro Il Primo di Napoli con la regia di Peppe Miale e per
l’interpretazione di Anna Moriello.
La cerimonia di premiazione avverrà domenica 13 dicembre al Teatro Kursaal
di Bari.
Questo testo nasce da una suggestione: un processo celebrato nel 1578.
Alla sbarra un gruppo di uomini, contadini per lo più, ma anche canonici e
nobili, accusati di aver rapito la giovane Angela, di averla sottoposta a
brutale violenza e di averla infine ceduta a messer Scipione che, entratone
in possesso, ne sfrutta la bellezza per il proprio guadagno, fino al momento
in cui il padre riuscirà a liberarla.
Gli uomini sono alla sbarra. Angela è la loro accusatrice.
Il suo racconto procede con fredda determinazione, ciò che ella dice è
diretto, sferzante, non consente difesa, vanifica ogni tentativo di
sottrarsi, di cercare un’assoluzione. Ma Angela è giovane, fragile, i
ricordi di quei mesi passati nella mani, ruvide o delicate, di uomini che la
spogliavano o la legavano ad un letto, lasciandola per giorni nella buia
soffitta di un campanile, riemergono prepotenti e scalfiscono le certezze di
cui Angela sembra essersi armata.
Angela non ha altra arma che le sue parole.
Quelle del presente, nell’aula del tribunale, sola contro i suoi carnefici,
sono fatte di nomi, di date, di precise ricostruzioni, di testardo
convincimento che non uno, di quelli che siedono al banco degli imputati,
debba farla franca.
Ma poi ci sono altre parole. Quelle del ricordo, appunto. Di un ricordo che
penetra nelle viscere più profonde, che scende giù fino a farla piegare su
se stessa per il dolore, per il fiato sporco e la saliva che ancora le
impregnano la bocca, per quell’addome che si gonfiava ogni volta che uno di
loro penetrava dentro di lei.
Angela è assalita dalla rabbia, per quel Ferrante che aveva promesso al
padre di sposarla e che ora è lì insieme agli altri, poi cede alla
disperazione, per il curato che l’aveva rinchiusa quindici giorni e quindici
notti, infine si scioglie in un’insolita tenerezza per quella Donna Lucrezia
che, negli ultimi giorni della sua prigionia, l’aveva accudita come una
madre.
Il processo va avanti. Una donna contro il branco che l’ha tenuta in pugno
per otto mesi. Il tempo, il luogo non contano. Nessun verdetto potrà mai
essere risolutivo.
Quello che resta è una donna sola, le sue parole dolenti, il suo corpo
ferito.