Serata di chiusura della stagione al Cineclub Vittoria
Casagiove (CE), 25 Giugno 2009
Comunicato stampa
Giovedì 25 giugno, alle ore 20.30, serata speciale al Cineclub
Vittoria di Casagiove, per salutare, in un clima di festa, la chiusura di
questa importante stagione di rilancio delle attività della gloriosa sala
casertana. La scelta dell’ultimo film da proporre ai soci e agli
appassionati è ricaduta, non a caso, su un film simbolo della forza che le
piccole realtà possono esprimere quando sostenute dalla fiducia nel proprio
lavoro e dall’apprezzamento della gente. “Focaccia blues” di Nico Cirasola
racconta sotto la forma di una divertente docu-fiction la storia vera di una
piccola focacceria di Altamura che costrinse alla chiusura il colosso
McDonald’s che aveva aperto una sede nelle sue vicinanze. Il film,
recentemente premiato con la Menzione Speciale ai Nastri d’Argento e con il
Ciak d’Oro come Miglior Film nella sezione “Belli e Invisibili”, dopo aver
rappresentato alla sua uscita un autentico caso mediatico verrà presentato
al Cineclub Vittoria in prima visione assoluta per la Campania, avvalendosi,
tra gli altri, dei gustosi camei di Renzo Arbore, Lino Banfi, Michele
Placido e Nichi Vendola. La proiezione del film sarà anche l’occasione per
affrontare il tema della cultura dello slow-food nel nostro territorio
grazie alla collaborazione con il portale Campania Slow e il suo direttore
editoriale, il giornalista Alessandro Tartaglione, che modererà un breve
approfondimento cui prenderanno parte il sommelier Ais e assaggiatore Onaf,
Salvatore Landolfo, e il rappresentante di Slow Food Campania, Sandro
Tacinelli. L’azienda agricola Vestini-Campagnano offrirà una degustazione
dei suoi vini per il brindisi finale.
Orario spettacoli per il film 18.30 - 21.15
...e a Luglio evento speciale al Cineclub
Lunedì 13 Luglio alle ore 21.00 l'Associazione Macchina da Presa
presenta UNA MANCIATA DI TERRA di Sahera Dirbas
Sarà ospite in sala la regista Sahera Dirbas
Per tornare a Tirat Haifa, i rifugiati palestinesi di prima generazione,
sarebbero disposti a rinunciare a tutto. A quello che hanno costruito in
questi 60 anni, lontano dal loro villaggio natale, sulla costa vicino a
Haifa, e a quello che avevano quando sono fuggiti dalla guerra del 1948. Il
loro sguardo è sereno, quando dicono che per rivedere il loro mare, la
collina, la vecchia casa, sarebbero disposti a rinunciare a tutto. Lo dicono
accanto a figli, nipoti, pronipoti, che invece sul rapporto con la terra
hanno ormai un rapporto diverso. Distante, quasi. E' la differenza della
memoria, il dato più interessante di "Una manciata di terra", il
documentario che Sahera Dirbas ha presentato il 29 maggio scorso al teatro
Hakawati di Gerusalemme est. La memoria della prima generazione, struggente,
narrata non solo dalle parole, ma dalle poche cose che i rifugiati sono
riusciti a portarsi via, e da quei canti della nakba che le vecchie cantano
ancora con lo stesso dolore. E le stesse lacrime. La memoria delle terze e
quarte generazioni, che alla madrepatria lontana mettono accanta la
madrepatria "nuova": la Giordania, per esempio. Il documentario di Sahera
Dirbas, lei stessa proveniente da Tirat Haifa, abbandonata nel 1948 da suo
padre - a cui il film è dedicato -, è un prodotto esemplare di "storia
orale": la storia di una famiglia, di un villaggio, dei protagonisti e di
coloro che i racconti della nakba li hanno ascoltati per anni e anni, come
l'epica di un popolo. Ma è anche altro. E' la descrizione degli elementi
determinanti della cultura palestinese: il rapporto con il mare, con gli
alberi di olivo, con la famiglia, con il canto. E con la terra, ovviamente,
declinata secondo un vocabolario dell'olfatto e dell'erbario palestinese: la
terra che si sposta, dentro un sacchetto di plastica, da Tirat Haifa e
raggiunge Ramallah, la Giordania, la Siria. Se i rifugiati non potranno
tornare a Tira, sarà la terra ad andare da loro. Se non potranno essere
seppelliti a Tira, la terra di Tira sarà comunque sotto la loro testa,
nell'ultimo riposo. Autoprodotto, senza finanziamenti, frutto di un lavoro
(volontario e caparbio) durato due anni e condotto assieme a cameraman e
montatori che hanno creduto al progetto, "Una manciata di terra" non è solo
un documentario, non è solo storia orale. E' il fotogramma sulle rughe di un
popolo.