Mintzer

Stern

Stern e Haslip

Baylor

Polo Jazz Village: Concerto Yellow Jackets e Mike Stern

Marcianise (CE), 30 luglio 2008

Articolo e foto di Gero Mannella

Per i maniaci delle etichette se ne dobbiamo trovare una per definire la musica che ci ha coinvolto ieri sera parleremmo di Enerjazz.
Infatti nelle oltre due ore di concerto si è generata tanta di quell’energia sufficiente a dar luce al comprensorio del Polo, e azzarderei anche ai comuni limitrofi, per circa un anno.
Autori dell’esperimento due premi nobel del jazz fusion: gli Yellow Jackets, solida band dal sodalizio ultratrentennale, e l’eterno giovanotto Mike Stern, icona della chitarra jazz ululante.
Sin dall’inizio si è capito che aria tirava nell’arena del Polo (a parte i miasmi delle discariche limitrofe).
Si parte con un duetto Mintzer-Stern su una ritmica incalzante che è trampolino di lancio del primo assolo del crinito chitarrista di Boston, col piano di Ferrante a fare da contrappunto.
Si prosegue su una base bossa, col tema intessuto da sax e chitarra (per tutta la serata al proscenio), digressione bop del primo e i caratteristici accordi stranianti del secondo. Ci pensa poi Ferrante a ripercorrere l’alveo del bossa tornando al refrain, e insaporendolo con una cascata di biscrome.
Col terzo pezzo il basso di Haslip cadenza un ritmo più propriamente fusion vecchia maniera. L’assolo di Stern è di un lancinante quasi hendrixiano, e l’atmosfera diviene elettrica, con intermezzo slap del basso e chiusura synth di Ferrante.
Poi nel bel mezzo del climax il gruppo si defila e rimane Stern con un virtuoso arpeggiare su reminiscenze protoclassiche, tanto più inedite in quanto non acustiche ma al solito prodotte dalle sue corde elettriche forever, con effetti che spaziano dal saudade al verso del gabbiano.
Che Mintzer sia l’anima del gruppo, il marchio di fabbrica degli Yellow Jackets, lo si avverte una volta di più dall’assolo inesauribile e torrido, dal mood vagamente breckeriano, che piazza nella successiva ballata.
Poi il nostro uomo dismette l’ancia ed impugna l’ewi (Electronic Wind Instrument), un aggeggio dal range tonale che supera le otto ottave, e di cui è uno dei massimi interpreti, per prodursi in un sorprendente assolo strappapplausi.
Quanto al giovane batterista Marcus Baylor sorprende la sua attitudine alla ricerca su uno strumento per il quale è difficile dire qualcosa di nuovo. Questa sua tensione si concreta in una politimbricità e poliritmicità sulla soglia quasi dello sberleffo, in un contesto ritmico ortodosso qual è quello della fusion.
Il finale è di una tensione travolgente percorsa sulle corde tese al parossismo della chitarra di Mike, le sdrucciole hot di Bob, il climate graffiante del synth di Russel, ed il poderoso pulsare di basso e batteria.
Baylor in particolare, col suo metaforeggiare con le sincopi, e l’inesausto drumming, è l’incendiario di turno. Lui e Stern si divertono, elettrizzano, esaltano la platea.
La calata del pubblico sotto il palco e la richiesta di bis ad oltranza sono il corollario ad una serata di jazz ed energia pulita. A proposito di fonti rinnovabili, oltre al sole e al vento, si potrebbero ascrivere al novero anche questi attempati giovanotti.

Consulta: Al Polo della Qualità è la stagione dei concerti all’aperto

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