Toni Servillo è "Il Divo"
Un'altra bella prova per l'attore casertano
Articolo di Francesco Massarelli
Toni Servillo: un altro film nel film. Uno straordinario lavoro di
costruzione del personaggio, ha consentito a Sorrentino di plasmare sul
corpo dell’attore casertano le sembianze della più camaleontica figura che
forse il nostro paese abbia mai conosciuto. Giulio Andreotti: un altro mondo
nel mondo. La vita e la personalità di Andreotti sembrano procedere
parallele rispetto al mondo in cui vive. Lui sicuramente è il grande
stratega, il regista occulto della nostra Storia, ma mai si troverà il modo
di far convergere su di lui, senza possibilità di appello, le responsabilità
che tutti immaginiamo possa avere. Sorrentino non può che prenderne atto ed
è bravissimo ad alimentare in noi il senso di inquietudine davanti a tanta
impotenza. Uno straordinario monologo di Toni Servillo fotografa alla
perfezione la perversa logica che regola nel nostro paese il rapporto tra
politica e società. Andreotti parla del male fatto per raggiungere il bene.
Ci viene da pensare che più che malafede oramai si tratti di una distorta
visione della realtà. Giulio Andreotti è stato il grande protagonista di una
lunga stagione in cui la politica ha imposto alla società le sue regole. Una
lunga stagione, che purtroppo continua ancora oggi, in cui la politica
sembra procedere per la sua strada ignara delle urgenze del paese.
L’immagine di un bravissimo Carlo Buccirosso che nei panni di Paolo Cirino
Pomicino, raccoglie voti per l’elezione di Andreotti a Presidente della
Repubblica, è la fotografia più immediata di quanto appena detto. Meccanismi
perversi dai quali speravamo ci potesse liberare per sempre tangentopoli, ma
così non è stato. Sorrentino sceglie di focalizzare proprio nel quinquennio
‘91-’95, gli anni di tangentopoli, il ritratto del suo Andreotti.
L’interpretazione di Servillo restituisce al senatore a vita tutto quell’alone
di mistero che fa di lui un personaggio assolutamente indecifrabile. Ironia
e cinismo, tenerezza e ferocia, solitudine e adulazione da parte degli
altri: tutto alberga in lui contemporaneamente. Il film si apre con un
potentissimo affresco dell’Italia dello stragismo, della mafia, della loggia
P2 e delle brigate rosse. Poi su tutto questo Sorrentino torna velocemente
solo a metà film, lasciando raccontare ai pentiti di mafia i raccapriccianti
incroci politico-mafiosi e lo fa rimanendo fedele allo stile dei film di
genere. Ma resta quello l’unico momento in cui non appare chiara e
inconfondibile sullo schermo la firma del regista napoletano. Come
giustamente sottolineato sia da Servillo che da Sean Penn, presidente di
giuria a Cannes, Sorrentino ha una straordinaria abilità nel costruire le
immagini, lo fa utilizzando tutto il suo enorme talento. Fino ad oggi aveva
raccontato i mali del paese parlando per metafore, ora va dritto al cuore
del problema, ma conserva ed amplifica il suo stile a tratti visionario.
Alcune immagini hanno una forza devastante ed è molto bravo a calibrare su
queste immagini l’impatto della colonna sonora, che spazia da Vivaldi ai
Ricchi e Poveri. Anche questo film, come già accaduto per Gomorra,
preferiamo accoglierlo soprattutto come un grande capolavoro del cinema
italiano, un segnale forte della vitalità e della bravura di registi giovani
e pure già tanto acclamati. Su Servillo, resta poco da dire. La sua stagione
si chiude con l’ennesimo trionfo artistico. Ci piace cogliere la perfetta
sintonia che lo lega a Sorrentino (già insieme ne “L’uomo in più” e ne “Le
conseguenze dell’amore”) e, senza nulla togliere all’ottimo Paolo, ci viene
da pensare che il film è come se lo avessero partorito insieme. Poco
importa. Andate a vedere “Il divo” e “Gomorra”, e se li avete visti, magari
tornateci: il bello non è mai troppo, anche quando è così doloroso…