La locadina

Tony Servillo

 

Gomorra

Il libro di Saviano diventa un film, in concorso a Cannes, Maggio 2008

Articolo di Francesco Massarelli

Cosa si prova uscendo dalla sala dopo aver visto "Gomorra" di Matteo Garrone? Sinceramente facciamo fatica a dare la nostra risposta. L'enorme sconforto davanti ad un mondo così abbrutito, eppure così vicino a noi, è assolutamente innegabile. Ed è per questo motivo che si prova un certo pudore a dirsi, al tempo stesso, felici di aver assistito ad un film italiano davvero molto bello. Noi casertani questo film lo sentiamo molto nostro sia per la presenza nel cast del sempre bravo Toni Servillo, sia per lo stretto legame che ha con il nostro territorio. La scaramanzia ci imporrebbe di non fare nessun riferimento al Festival di Cannes, dove il film è in concorso e dove domenica ha ricevuto 5 minuti di applausi ed il consenso unanime di critica e di pubblico. Ma dopo la visione del film ci viene quasi voglia di rinnegare l'appartenenza a questa terra e ai suoi costumi e non esitiamo perciò a dire che forte e concreta è la speranza di vederlo premiato con la Palma d'Oro, un premio che ci sta a cuore soprattutto perchè aiuterebbe a far arrivare il nostro grido di dolore in ogni angolo del mondo. Parlando di Cannes ci viene in mente che il festival francese qualche anno fa premiò il coraggioso documentario di Michael Moore "Fahrenheit 911" e che per ben 2 volte ad essere incoronati sono stati i fratelli Dardenne che con "Rosetta" prima e "L'enfant" poi ci avevano fornito straordinari ritratti della miseria umana. "Gomorra" ci sembra quasi la perfetta sintesi delle opere precedentemente citate. Evidente è lo stile quasi documentaristico che già aveva caratterizzato le prime opere del giovane regista romano. Garrone afferma che il suo cinema non vuole essere di denuncia. In realtà il suo intento è quello di offrire una regia invisibile e ci riesce perfettamente: la macchina da presa nelle sue mani diventa quasi una macchina fotografica e gli scenari su cui si muovono i protagonisti parlano molto più degli stessi interpreti. Garrone rifiuta la spettacolarizzazione. Persino la violenza, se possibile, è contenuta. Non c'è la facile epopea dei boss, quanto la desolante quotidianità dei soldati. Non è il sangue che raccapriccia, ma piuttosto il degrado morale e materiale. Scampia parla e fa male come già aveva fatto Castelvolturno ne "L'imbalsamatore", apprezzato ed insospettabile prologo di "Gomorra" firmato da Garrone nel 2002. La scena iniziale è una potente metafora, i criminali al beauty-center ostentano un culto della bellezza fisica che fa da contraltare al loro abbrutimento interiore. Garrone questa scena l'ha pensata e l'ha realizzata successivamente. Noi volutamente abbiamo evitato ogni parallelo con l'opera letteraria di Saviano, da cui sono tratte e sviluppate in chiave drammaturgica solo alcune delle vicende trattate. Libro e film sono complementari e paragoni e paralleli tra loro ci sembrano assolutamente inutili. Solo un eccesso di pignoleria ci induce ad individuare nella scena del moribondo che fa affari con Servillo, un pizzico di enfasi e di retorica, che del tutto assenti per oltre due ore sullo schermo, ci saremmo volentieri risparmiati in quei minuti finali. Peccato veniale, pero, di un'opera rigorosa e meravigliosa che coniuga, come giustamente sottolineato da Servillo sulla Croisette, informazione ed emozione.

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