Il biglietto di auguri....
Caserta - 23 dicembre 2007
Articolo e foto di Marilena Lucente
l mio bigliettino d’auguri, quest’anno, con una foto.
Non una come quelle bellissime che ho ricevuto in questi giorni.
Una foto scattata da me, stamattina. Chi abita qui lo sa, ma chi non ci vive,
non può immaginare quanto è triste vivere in queste condizioni.
“Uno schifo, uno schifo”, mi dicevano quelli che mi vedevano con la macchina
fotografica.
Eppure la città è piena di lucine colorate, girandole, strascichi di comete,
rami di alberi luccicanti. Fanno venir voglia di camminare tutto il tempo con
il naso all’in su. Non importa se si gela (il naso), quello che conta è
l’incanto delle lucine, dei colori, dei riflessi cangianti. E’ Natale.
Ma qui non è possibile, di andare con il naso all’in su. Si rischia di
inciampare, di cadere, di finire spiaccicati al suolo. Ed è vero che i
sacchetti della spazzatura sono morbidi, però mica tutti. Ci sono anche ferri
appuntiti, vasi sbreccati, rimasugli di serie luminose natalizie. Quelle che
non funzionavano, che non sono finite verso il cielo, dove potevano andare se
non nella spazzatura? Per terra, appunto.
Altro che naso all’in su. Molti camminano con la sciarpa intorno al viso, per
proteggersi dal cattivo odore, con i pacchetti che penzolano dal braccio,
dondolanti felici verso le feste. Altri si vergognano, di festeggiare un Natale
così, vedono una confezione di cotechino in salumeria e immaginano già cosa ne
sarà, saprebbero riconoscerla tra mille, in uno dei tanti cumuli di spazzatura.
I cumuli intorno ai cassonetti sembrano gonfiarsi, minuto dopo minuto,
comparire di qua e di là come tanti bubboni sul viso, invece si allargano sotto
i piedi, come in un film di paura.
Forse bisognava restare al buio, approfittare dei contorni cancellati dalle
lunghe notti di dicembre e restare un po’ a pensare, capire, cercare di capire.
Oppure, al contrario, bisognava illuminare la città a giorno, e di nuovo
pensare, capire, cercare di capire.
Mi sono rifugiata nella scuola dei bambini. Con una scusa o con l’altra ci sono
stata almeno in paio di volte questa settimana. Per guardare il pupazzetto di
neve attaccato alle finestre, per rubare un po’ di porporina dai banchi e
tenerla tutto il giorno tra le dita ( tanto non se ne va mai..), per sentire
l’odore di vinavil che scende dai tubetti, per vedere il passo incerto del
bambino sotto il peso del vaso di stelle di natale da portare alle maestre.
Credo che tutti quanti, qui, ci sentiamo come lui, come quel bambino, con le
foglie della pianta che ci sfiorano il naso, ci coprono la vista, un po’
barcolliamo, un po’ andiamo. Verso un bigliettino d’auguri, verso una poesia di
cui non ricordiamo le rime, verso una festa che non sappiamo bene cos’è ma
immaginiamo che ci aspetta, da qualche parte. Facciamo attenzione a dove
mettiamo i piedi, potremmo inciampare. D’altronde quelle lucine sono inutili,
non ci aiutano a vedere. Però, è questo il mio augurio, dobbiamo sperare,
vogliamo trovare un posto in cui la strada finisce e finalmente, anche noi,
possiamo posare anche la nostra stella di natale.