Un’officina chiamata teatro
Intervista a Roberto Solofria e Michele Pagano di Officina Teatro
Articolo di Marilena Lucente
Le montagne, il cancello, le strade che corrono, le automobili da riparare, le
finestre del caseggiato, e l’ingresso, l’ingresso del teatro. L’officina del
teatro è incastonata in un paesaggio intenso e difficile, ma un ingresso così
sembra custodire molte promesse.
Sarà l’effetto prospettico, anche nell’interno del teatro lo sguardo continua a
vagare, a cercare i confini dello spazio, pieno di casse, oggetti ricoperti di
veli, macchine, e sedie. E’ l’allestimento dello spettacolo “Muà”. Pochi giorni
ancora e la scena sarà stravolta da Sircus, il nuovo lavoro di Michele Pagano e
Roberto Solofria. Questo luogo sembra assomigliare molto ad entrambi: è un
posto ricco di storia, - prima è stato officina, poi pastificio, adesso è un
teatro - e guarda con insistenza al futuro.
Marilena Lucente: Intanto non è molto convenzionale come
spazio
“Infatti, Officina non ha un palcoscenico, perché tutto è palcoscenico. Non c’è
divisione tra attori e pubblico. Le scenografie cambiano per ogni spettacolo, e
persino le sedie hanno una disposizione sempre diversa. E’ un posto in cui si
vuole sradicare l’abitudine alle poltroncine, alla staticità della visione. E’
l’attore che fa il teatro, non lo spazio fisico”, spiega Michele Pagano,
autore di testi teatrali, regista di cortometraggi e attore.
“Avevamo bisogno di uno spazio nostro, per poter essere liberi, liberi
artisticamente. E poi uno spazio non lo puoi lasciare da un giorno all’altro,
crea un legame più forte, più intenso con ciò che fai e con le persone con cui
lo fai”, aggiunge Roberto Solofria, dieci anni di attività alla
Mansarda, promotore di un teatro civile e d’impegno. Due storie artistiche
differenti, che si sono intrecciate in “Officina Teatro”.
M.L.: Sembra che Caserta si stia trasformando in un grande cantiere
creativo, da dove nasce tutto questo fervore?
R. S.: Le realtà teatrali ci sono sempre state, anche se diventavano via
via meno visibili, soprattutto dopo la chiusura del Teatro Comunale, un vero e
proprio lutto per la città. Se non c’è uno spazio in cui incontrarsi, creare,
provare, la gente si allontana naturalmente, si disperde, e diventa sempre meno
visibile.
M.L.: Tanti attori e pochi autori. Strano, in una città che invece si
fa raccontare molto, da tanti scrittori.
M. P.: Il problema è che non sempre si ha voglia di osare o di
rischiare. Chi prepara i cartelloni preferisce le compagnie che lavorano su
testi famosi e già apprezzati dal pubblico. Un testo nuovo, di un autore
sconosciuto richiede molto coraggio e molto impegno. Invece gli autori nuovi
sono necessari alla vitalità del teatro. Come può un ragazzo salire sulla scena
e recitare parole scritte cinquanta anni fa, con un linguaggio e un modo di
sentire completamente diverso da quello della contemporaneità? C’è molta strada
da fare, e noi ci stiamo provando.
R. S.: E poi il pubblico va educato. E’ ovvio che la maggioranza vuole
andare a teatro solo per ridere, ma non sempre è così. E poi non contano i
numeri, quello che per noi è importante è fare teatro e lasciare un segno, far
vivere agli spettatori un’esperienza completa, complessa.
M.L.: Provate a raccontare cosa accade quando decidete che cosa portare in
scena
M. P.: Facciamo tutto noi. Scriviamo il testo, scegliamo i costumi,
montiamo la scena. Qui entra un pezzo di legno ed esce uno spettacolo, come in
una vera officina.
R. S.: C’è il piacere fisico di fare, di costruire, di inchiodare le
travi, di trasportare i pezzi della scenografia, di metterli insieme, di
scegliere gli oggetti per il loro valore simbolico, quelli che servono a
rendere vero uno spettacolo. E poi c’è l’ideazione del ritmo, del montaggio
delle scene, che deve essere rapido, veloce, sino a diventare cinematografico”.
M.L.: Progetti per il futuro
M. P.: Continuare a realizzare le nostre produzioni, ospitare altre
compagnie italiane che come noi appartengono al Tam (Teatro Arte Mediterraneo)
e portare la gente a teatro”.
R. S.: Crescere insieme ai ragazzi del laboratorio, continuare a
raccontare con il teatro, anche ad urlare, se serve, e rendere questo posto un
teatro per tutti”.