Pierluigi Tortora

 

Intervista a Pierluigi Tortora

Una Bottega per il Teatro

Articolo di Marilena Lucente

Una luce azzurra che si riconosce da lontano. Una porta finestra illuminata tra le ombre dei palazzi e della sera. La Bottega del Teatro si riconosce al buio di questo quartiere affollato e movimentato di giorno, ma abbastanza spento di sera.
Incastonata nel Quartiere Acquaviva, la Bottega è qui da anni. E all’inaugurazione di questa nuova stagione, i frequentatori abituali l’hanno trovata leggermente cambiata, con una disposizione dei sedili e del palco che rende ancora più intimi e vicini attori e spettatori.
Ospitandoci nel suo teatro, Pieluigi Tortora è visibilmente soddisfatto di questo arredo, che è nuovo ma, al tempo stesso, riesce a contenere venti anni e più di storia del teatro, del suo teatro, della sua idea di teatro che affonda le radici molto ma molto lontano.

Marilena Lucente: Ricominciamo dal presente, però, dal titolo della sua stagione: “Voci di quartiere”. Quartiere fa pensare ad una dimensione feriale della vita quotidiana, meno tragica delle periferie, problematiche sì, ma anche molto alla moda in questi ultimi tempi.
Pierluigi Tortora: Credo sia importante esprimere il grido di dolore di tanti quartieri delle città, dove sembra che non succede nulla e invece c’è tanta vita. Il nostro quartiere poi è decisamente particolare. Risente della situazione urbanistica di Caserta, tagliata in due dal passaggio a livello, qui ci sono ventimila abitanti che potrebbero avere un ruolo significativo in città, invece… Quartiere Acquaviva è lo sversatoio del niente.

M.L. : La rassegna teatrale della Bottega offre agli spettatori un programma ricchissimo, un appuntamento quasi quindicinale da novembre a maggio. Qual è il legame tra gli spettacoli?
P.T. : Il programma è lunghissimo perché mi piace lavorare per progetti, e i progetti hanno bisogno di tempo. Questa rassegna teatrale è giunta alla seconda edizione, il festival del teatro di sant’Eremo è un’altra mia creatura che ha già cinque anni di vita. Tra gli spettacoli proposti ci sono numerose produzioni della Bottega, altre voci artistiche della città (teatrali, musicali e anche figurative come la mostra di pittura a Natale) e alcune compagnie nazionali. Insomma tante voci che invitano a venire qui, a conoscere la nostra idea di teatro, ma anche il nostro laboratorio teatrale, dove si formano giovani artisti.

M.L. : Sembra che la scena teatrale casertana attuale sia in notevole fermento, dopo anni di difficoltà.
P.T. : In effetti è vero. Ci sono stati a Caserta anni di grande vitalità, gli anni Ottanta. Anni di fermento, anche agonisticamente significativi. Gli artisti allora cercavano di unire l’uso della tradizione con la modernità e mettevano in gioco tutta la loro storia, il loro corpo. Penso ai Servillo a Paolo Russo a Carmine La Porta. Dall’87 ad oggi c’è stato invece una specie di svuotamento. Le voci della città sono state coperte. Nunzio Areni ha fatto una politica che impediva di crescere, di creare reti di esperienze. E così è incominciata la moda della denigrazione della città, la città in cui non c’era niente ed era meglio andarsene. E continuare a denigrare da lontano.

M.L. : E tu perché sei rimasto?
P.T. : Perché voglio restare qui. Perché è più importante restare e fare. Fare e agire a trecentosessanta gradi è difficile e necessario.
Perché mio padre era un sarto e io da lui ho imparato la lezione che le costruzioni nascono giorno per giorno, che hanno bisogno di impegno e continuità.

M.L. : Sei all’inizio della rassegna. Esprimi un desiderio.
P.T. : Far vivere la bottega tutti i giorni, lavorare con gli altri e non in antitesi con la città, continuare a cercare la strada per stare e fare meglio. Più creativamente, più civilmente. 

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