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Teano, 5 Luglio. Nel cielo una luna gibbosa calante, color arancio pallido,
rischiara incerta il “Loggione Cavallerizza” del Museo Archeologico di Teano.
Il palco è vuoto, una struttura inanimata alla cui destra si estende un
panorama chiaroscuro di valli e colline. L’ombra di un pianoforte, quella di un
contrabbasso, leggere scintille di luce dal corpus di sassofoni, trombe e un
trombone. Sul fondo una batteria.
La big band che affianca Gianluca Renzi, giovane promettente contrabbassista
della scena jazz italiana, comincia ad avvicinarsi al palcoscenico, tra gli
sguardi degli astanti che infoltiscono progressivamente la platea. Luci si
stagliano lentamente sul palco, mentre i musicisti si accomodano ai rispettivi
strumenti. Ad animare la sezione ritmica dei brani Pietro Lussu, Lorenzo Tucci
e Renzi, rispettivamente pianoforte, batteria/percussioni e contrabbasso. A
chiudere il cerchio orchestrale un caleidoscopio di nomi e talenti noti
all’ambiente dei puristi (e non) di genere: alle trombe Fabrizio Bosso ed Andy
Gravish, ai sax Daniele Tittarelli, Dario Cecchini, Max Ionata e Maurizio
Gianmarco, al trombone Roberto Rossi.
Renzi propone uno spettacolo ottenuto da una originale rivisitazione di alcune
tra le più interessanti musiche di Charlie Mingus, geniale quanto trasversale
contrabbassista/pianista statunitense, e di Joe Henderson, sassofonista tenore
del jazz/hard bop, stilisticamente ispirato a Charlie Parker.
La proposta di Gianluca Renzi ricade su una scelta rigorosa, fedele. L’esordio
di Renzi al microfono, infatti, è un monito al pubblico in sala ad aver
pazienza nel cambio tra un brano e l’altro, in quanto gli spartiti sono fissati
con delle mollette ai leggii, per non farli volar via e dire “addio”, così,
allo spettacolo…; ma se da un canto, quindi, lo spartito dei musicisti
riveste una notevole importanza, dall’altro ci si accorge presto che, in
proverbiale stile jazz, l’obiettivo della band è anche quello di esaltare il
personale fuoco dell’ispirazione, lasciar vagare il talento attraverso lo
strumento, vederlo defluire verso il pubblico, aggraziando l’anima anche degli
spettatori più ritrosi.
Sin dal primo brano, infatti, la sintonia esecutore-ascoltatore risulta
evidente. Le note di “Inner urge” di Joe Henderson si diffondono nell’aria
concentriche, e piedi e mani emulano i ritmi spezzati della batteria guidata da
Lorenzo Tucci; è la volta dei fiati, le cui performance melodiche finiscono,
quasi a rigor di logica dati i numeri da big band, a tramutarsi in assoli,
recando sempre più una sensazione d’improvvisazione, di sillogismo tra cuore e
strumento musicale.
Il secondo brano proposto da Renzi, sempre di Joe Henderson, è “Black Narcissus”.
E il “Narciso nero” concepito dal contrabbassista è indubbiamente scostato
dalle atmosfere più docili dell’originale. La sua trasposizione è un brano più
ritmico, meno adagiato, che apre con un interludio
contrabbasso-batteria-pianoforte, prima di lasciare il terreno ai fiati. E’ il
trombone di Roberto Rossi ad introdurre la parte dedicata agli assoli, seguito
dal sax tenore di Max Ionata, che accompagna i tempi del brano sino ad un
cambio ritmico nel quale si insinuano le note ondulanti del piano di Pietro
Lussu. Dopo la eccellente parentesi al piano, è la volta di Fabrizio Bosso, che
grazie alla sua personalissima calligrafia sonora e ai toni stilistici da jazz
sporco, porta il brano in un crescendo che accompagnerà gli ascoltatori sino
alla conclusione del pezzo.
Il pubblico è divenuto estremamente numeroso, ma soprattutto variegato, per età
e “tipologie” di ascoltatori. Ma il pubblico è soprattutto entusiasta
dell’ascolto di una musica che finisce, sempre, per toccare le corde dell’anima
come quelle di un contrabbasso. Nonostante gli applausi non si sprechino, la
spontaneità del pubblico premia sempre, e non potrebbe essere diversamente,
l’abilità dei musicisti, specie alla conclusione degli assoli, peculiarità fil
rouge di tutto lo spettacolo.
La punta di diamante dello spettacolo è certamente la rielaborazione di “Duke
Ellington's sound of love”, di Charlie Mingus, al quale brano Renzi presta
abbastanza fedeltà interpretativa. Le spazzole accarezzano piatti e rullante,
mentre la magia dei sax e dei flauti traversi finisce per catturare gli animi,
cullando l’immaginazione in uno scenario a sé stante, scandito da un cielo
sempre più vivido e dal calore delle luci del palcoscenico. L’omaggio di Mingus
a quello che può considerarsi uno dei più grandi jazzisti/compositori che la
storia conservi nella memoria è un imperitura, meravigliosa creatura musicale,
che lusinga il pubblico sino alla sua conclusione.
Sulla scia di Mingus, ritroviamo poi la bellissima “O.P.”, brano dedicato a
Oscar Pettiford, contrabbassista/violoncellista capostipite del genere bebop, e
“Weird nightmare”, della quale Renzi rimase folgorato dopo averla ascoltata in
un album di Elvis Costello.
Lo spettacolo si avvia alla conclusione; il materiale sonoro raccolto nella
serata costituirà un disco, come già accaduto, nel corso del Teano Jazz,
qualche anno addietro con un altro lavoro del musicista.
E’ il tempo dell’ultimo brano, nel quale Renzi si regala qualche minuto in
coppia col suo strumento, accarezzandolo e tramortendolo, accelerando sulle
corde e rallentando, trendone un assolo speciale, caldo, intrigante. E’ un
brano gospel polifonico, riadattato da Mingus in chiave jazz. Lo spazio di
Renzi si chiude, e l’intera band sembra aver acquistato forza dallo speciale
duetto uomo-contrabbasso. A turno ciascuno dei fiati regala una performance
personale, definitiva, e i musicisti stessi finiscono per essere avviluppati
dal calore blu del mood. Il trombone jazz di Rossi chiude la parata dei fiati,
mentre Lussu sta già insinuandosi ondeggiando le dita sull’avorio e sull’ebano
dei tasti. L’assolo di batteria chiude il brano e il concerto, tra gli applausi
sempre più entusiasti della platea.
Ci si lascia alle spalle uno spettacolo imperdibile, mentre ci si avvia verso
l’uscita. Incontriamo Fabrizio Bosso, un po’ stanco. E’ in una piccola stanza
del museo. Ci concede una foto, mentre ripone lo strumento musicale, il suo
strumento musicale, la tromba. E chissà per quale strana combinazione di
pensieri, nel vederlo, finisce per affacciarsi alla mia mente una nota di
copertina dell’album “The John Coltrane Quartet Plays”, di John Coltrane. Dice
così: Non so esattamente ciò che sto cercando, qualcosa che non è stato
ancora suonato. Non so che cosa è. So che lo sentirò nel momento in cui me ne
impossesserò, ma anche allora continuerò a cercare.
Consulta: Teano Jazz Festival: XV edizione
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