Parlare oggi di cucina medievale e rinascimentale non è facile. Certo, il
diffondersi delle ristampe, delle traduzioni, delle ricerche sui trattati
antichi, riscoperti da studiosi e storici in epoca relativamente recente, ha
fatto sì che oggi un pubblico sempre più vasto sia incuriosito e solleticato da
ricette dai nomi musicali, evocativi di sapori e piaceri sconosciuti. Eppure il
discorso è ben più ampio e va al di là della semplice preparazione di una
pietanza: parla di storia, di economia, di commercio, di religione, di arte, di
gerarchie sociali. Parla dell’esigenza di codificare l’”arte della tavola” in
tutti i suoi aspetti; esigenza nata con i primi codici in lingua latina degli
inizi del ‘300 e culminata nei raffinati trattati - dedicati alla ricca e
fastosa cucina di corte - di Martino Rossi, di Cristofaro Messisbugo, del
Platina, fino a Bartolomeo Scappi.
Tra i primi codici di arte culinaria in Italia, il Liber de coquina di Anonimo
trecentesco della Corte angioina (da cui si propongono i “gantis”, il
“mortarolo” e le “crispellas”) , il Libro della cocina di Anonimo toscano del
‘300 e il Libro per cuoco di Anonimo veneziano del ‘300 segnano uno spartiacque
rispetto alla pur fiorente trattatistica dei secoli precedenti. L’arte della
cucina si affranca definitivamente dalla scienza medica e da altre discipline
scientifiche e la cucina non è più limitata alla messa in pratica dell’ “igiene
alimentare”, come dettavano, ad esempio, le disposizioni sanitarie della ben
nota Regola Salernitana. Estremamente interessanti soprattutto per il diverso
uso della lingua – latino per l’Anonimo di corte angioina, volgare per
l’Anonimo toscano e veneziano per l’Anonimo veneziano – in realtà i tre codici
sono espressione di tradizioni culinarie comuni e sostanzialmente
sovrapponibili, relative alle tre fasce geografiche diverse (rispettivamente
Italia meridionale, centrale e settentrionale). Le ricette proposte sono ancora
molto generiche, mancando quasi del tutto indicazioni sulle dosi dei vari
ingredienti.
Datati alla prima metà del sec. XV sono i Due libri di cucina di Anonimo
meridionale del primo Quattrocento (da cui abbiamo tratto la ricetta del “gran
manciere” o “blan manciere”, antenato del “biancomangiare”)
presentano consistenti affinità con i tre trattati trecenteschi, soprattutto
con il Liber de coquina di Anonimo della Corte angioina, da cui deriva
l’identificazione di “meridionale” data all’anonimo autore. La lingua usata è
in parte il latino, in parte un volgare meridionale. Le ricette, ancora
piuttosto approssimative per quanto riguarda ingredienti e dosi, sono
raggruppate in sezioni a seconda dell’ingrediente principale (carni, pesce,
verdure, torte, salse).
Con Martino Rossi – o Maestro Martino da Como – e con il suo Libro de arte
coquinaria (da cui è tratta la ricetta della “torta bolognese” o “herbolata”)
possiamo affermare che avviene la svolta verso una vera e propria “arte della
cucina”. L’autore raggiunge una consapevolezza della materia trattata
nettamente superiore a quella dei suoi predecessori con una cura dei
particolari e un metodo nella preparazione e nei dosaggi che apre la strada
alla più rinomata trattatistica del Cinquecento.
Menu della serata:
Guanti, dal “Liber de Coquina”. Anonimo trecentesco della corte
angioina
Crespelle, dal “Liber de Coquina”, Anonimo trecentesco della corte
angioina
Gran Manciere, dai “Due Libri di cucina”, Anonimo meridionale del primo
Quattrocento
Mortarolo, dal “Liber de Coquina”, Anonimo trecentesco della corte
angioina
Torta “Herbolata”, dal “Libro de la Cocina”, Martino Rossi (sec. XIV)
Focaccia
Bevande: Vinum Mulsum, Hydromele, Met, Hippocrassum
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