Bobby Dixon, Gennaro Porcelli & The Highway 61

Teano (CE) - 30 gennaio 2007

Articolo di Massimo Pieri


Il recente passaggio di Bobby Dixon nei pressi della nostra città è stato un momento di una certa intensità per musicisti e appassionati di blues. Il figlio di Willie - indiscutibilmente il più grande autore del blues chicagoano postbellico - si è esibito lo scorso 30 gennaio con il supporto di Gennaro Porcelli ed i suoi Highway 61 presso il Don Quixote di Teano.
Prima dell’esibizione, insieme agli amici Uncle Starker e Louis Powers, abbiamo passato quasi un’ora a chiacchierare con il quarantottenne artista americano ed è stato forse il momento più bello della serata. Sentire dalla viva voce di Bobby le consuetudini di casa Dixon è stata una vera goduria. Gli amici del padre che lo hanno tenuto sulle ginocchia quand’era ancora bambino non sono certo persone ordinarie. Muddy Waters, Little Walter Jacob, James Cotton, Howling Wolf e altri ancora hanno tracciato il solco lungo il quale è stata seminata tutta la musica moderna. Anche la schiera di visi pallidi che si sono recati con deferenza ad omaggiare “Big” Willie non è certo gente comune. Oltre che per i pezzi da novanta appena citati, sua madre ha spesso apparecchiato la tavola per gente come Mick Jagger e Keith Richards, Jeff Beck piuttosto che Eric Clapton. Qualcuno di questi personaggi ha perfino dormito con Bobby nella sua stanzetta. Pur essendo un uomo di grande disponibilità e grazia, Bobby Dixon è rimasto molto felice quando gli abbiamo chiesto delle sorti della Blues Foundation, l’associazione che creò il padre per aiutare gli uomini di blues meno fortunati e che la sua famiglia porta ancora avanti con grande determinazione. Quasi commosso è il ricordo di Memphis Slim, amico fraterno e compagno d’avventure del padre, ma anche suo pigmalione, colui che lo ha iniziato alla pratica del pianoforte.
La performance della serata è passata quasi in secondo piano, anche perchè è stata una mezza occasione mancata. Bobby Dixon, pur avendo qualità proprie, come altri figli d’arte, soffre certamente la sindrome del pesante cognome che si porta appresso. Pur possedendo una bella timbrica vocale (anche più variegata del tonitruante basso del padre) e un pianismo barrelhouse appena meno brillante del suo mentore, ha dato vita ad un’esibizione non particolarmente esaltante. A ciò ha contribuito non poco la band al seguito. Soprattutto la sezione ritmica, pur esperta e dall’indiscutibile valore assoluto (Mino Berlano al basso e Pino Liberti alla batteria), ha suonato senza adeguato relax (l’attacco potente dei tamburi ha trascinato l’esibizione molto sopra le righe). Il solo Gennaro Porcelli alla chitarra ha mantenuto vivo lo spirito del Delta. Come di consueto il giovane slim ha dimostrato di essere lui l’astro nascente del blues nazionale, intavolando un ottimo interplay col pianista di colore in un gioco di reciproci contrappunti.
Dopo una serie piuttosto routinaria di brani, Just a Little Bit, Things I Used To Do, Ain’t Nobody Business e un’immancabile Sweet Home Chicago, abbiamo lasciato il club con il pubblico in delirio e con buona pace di chi vi corrisponde. La rissa per la rissa non mi sembrava affatto in sintonia con le emozioni “blued” della prima ora. Aspettiamo comunque Bobby Dixon e la sua band per una nuova esibizione, possibilmente con repertorio meno esasperato e più rodato negli equilibri e nelle dinamiche. La qualità dei musicisti ce lo deve!
 

 

 

 

 

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