In prima teatrale: Tra forti e pianoforti di Marco Palasciano

Capua (CE) - 3 dicembre 2006

Comunicato stampa


Un trittico di scene dalla storia di Capua e di qualche capuano illustre, dal Cinquecento dei castelli imperiali all’Ottocento dei salotti musicali
Martedì 3 dicembre 2006 dalle ore 10.00, in tre luoghi diversi della città di Capua (replica generale alle 18.30 in piazza dei Giudici), debutterà, in prima teatrale, Tra forti e pianoforti, scritto e diretto da Marco Palasciano dopo un minuzioso lavoro di ricerca storica (ma non si dimentichi che Palasciano è autore di Prove tecniche di romanzo storico, edito quest’anno da Lavieri, dove il materiale storico è trattato con una certa “disinvoltura”), in occasione de “La Città della Domenica” di Repubblica.
Lo spettacolo, che vede la Cooperativa culturale Capuanova e l’associazione Uthopia in qualità di produttori, si avvale della presenza, in scena, di Federica Cariati, Fulvia Castellano, Generoso Ciccone, Luigi Credendino, Antonio Cuccurullo, Veniero Fusco, Grazia Liguori, Luigi Narducci, Antimo Navarra, Pasquale Renzi, Giuliana Saviano, Francesco Sielo, Roberto Solofria, Michele Tarallo e Maurizio Trabucco.
Tre i quadri. Il primo, «Conferenza di Capitan Matamoros sulle fortificazioni ecc. complicata da molte baroccaggini», è ambientato a «Capua, Porta Napoli, un giorno di fine luglio o inizio agosto del 1603» e lo scenario è realmente Porta Napoli, con inizio alle 10.00 e repliche alle 10.45 e 11.30. Il capuano Silvio Fiorillo, attore e drammaturgo del Seicento, veste i panni di un capitano spaccone della Commedia dell’Arte, Matamoros (maschera da lui prediletta); e la sua conferenza è disturbata dalle pedanterie del pretino Don Servante, mandato dall’arcivescovo di Capua, Roberto Bellarmino (famoso per i processi a Bruno e Campanella e per la lettera a Galilei), a «vigilare sulla moralità della commedia». Nella quale si innestano riferimenti alle storture e polemiche locali del presente: si narra, a un punto, della venuta dal futuro dello spettro di Ferdinando Palasciano (il celebre medico, nativo di Capua, precursore della Croce Rossa) in sogno a un suo antenato, per sdegnarsi dello smantellamento dell’ospedale capuano a lui dedicato; compare quindi la dea Mater Matuta, che accompagna le anime dei nascituri nel mondo e le anime dei morti nell’aldilà, e dichiara che «meglio è non nascer piú in via Palasciano», per le radiazioni elettromagnetiche della Torre Telecom che insistono proprio sulla nursery dell’ospedale; infine un coccodrillo, di quelli adibiti (unico dettaglio storico d’invenzione) a infestare i fossati intorno alla città in tempo d’assedio, fuggito dall’acquario dell’arcivescovo per tornarsene in Egitto «prima di arrivare a tempi cosí cattivi», racconta d’aver sognato un coccodrillo del 2000 piangente per l’inquinamento da rifiuti tossici della camorra.
Il secondo quadro, «L’architetto Ambrogio Attendolo mostra al figlio il Castello di Carlo V e la visita dell’imperatore», ha quest’altra ambientazione: «Capua, Castello di Carlo V, un giorno del 1552. Qui s’immagina poi Palazzo d’Azzia, sera del 23 marzo 1536»; lo scenario è una sala del suddetto castello, con inizio alle 10.30 e repliche alle 11.15 e 12.00. Il figlio di Ambrogio è Giovan Battista Attendolo, futuro poeta, qui sconvolto dalla notizia che per ristrutturare le fortificazioni – come ordinano gli spagnoli – si dovrà abbattere l’arco trionfale di Federico II di Svevia. Il padre accenna poi alla visita di Carlo V a Capua, avvenuta lo stesso anno della nascita di Giovan Battista; e assistiamo a un dialogo tra l’imperatore e colui che lo ospitò, Alfonso d’Azzia, Gran Maestro dell’Ordine di San Lazzaro ovvero responsabile del lazzaretto capuano (e perciò ossessivamente sguazzante, quanto a campo semantico, nei morbi, cosí come Carlo V – gran ghiottone – infarcisce il suo parlato di metafore alimentari). Gli argomenti del loro dialogo vanno dall’attacco di diarrea dell’imperatore durante il corteo trionfale in Napoli, alle prodezze all’incontrario del cavaliere capuano Cesare Fieramosca, fratello goffo del famoso Ettore.
Il terzo quadro, dove il celebre musicista capuano «Giuseppe Martucci partecipa agli amici la sua nomina a direttore del Liceo musicale di Bologna», è ambientato a «Napoli, casa di Benedetto e Teresa Maglione, una sera di giugno del 1886» e lo scenario è una sala del Museo Campano, con inizio alle 11.00 e repliche alle 11.45 e 12.30. L’atmosfera piacevole dei conversari tra un concerto e l’altro, nel salotto dei mecenati, è spezzata a metà quadro dalla terribile rivelazione del reale stato di tutti i presenti, e dalla riapparizione della dea Mater Matuta, riscomparsa la quale tutto viene magicamente dimenticato e il dialogo tra i personaggi riprende come nulla fosse.

Tra forti e pianoforti si uniforma cosí a una precedente opera di Marco Palasciano, Le strade e le storie di Capua, dove illustri capuani dialogavano col pubblico ed erano dichiaratamente spettri; là piú consapevoli e rassegnati che nell’attuale trittico, dove agiscono credendosi vivi ma in realtà non fanno che recitare la loro vita passata come nella «macchina di Canterel» (vedi R. Roussel, Locus Solus) citata, urlando nel sonno, dal vecchio Florimo.
E la condizione di morti inconsapevoli, vuole adombrare l’autore – sospettiamo –, è la stessa di quella della città di Capua (la cui decadenza è iniziata da che si è demolito l’arco fredericiano, vestigio estremo d’un passato glorioso), e di Napoli, ieri schiava degli spagnoli, oggi di una camorra che la scempia come allora e peggio, non solo nell’architettura ma nella natura, e nel corpo dei “viventi”, e nell’anima.

Fruizione gratuita
Inizio delle rappresentazioni ore 10.00, 10.45, 11.30 (Porta Napoli) e 18.30 (piazza dei Giudici)

 

Capua, Città della Domenica

 

 

 

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