Leuciana Festival: Vinicio Capossela a Caserta per il Grand Tour 2006.

Caserta - 4 settembre 2006

Articolo di Angelo Agnisola - foto di Emilio Di Donato


Martedì 4 settembre, San Leucio. Sarò sincero. E’ un azzardo proporre di far recensire il concerto di Vinicio Capossela a chi, di lui, ne è follemente innamorato (in senso artistico, ovviamente). Il rischio è quello di cadere in una viscerale adulazione, banale e retorica, alimentata da una totale assenza di giudizio razionale. Poi però, ti accorgi che il tuo giudizio incontra quello di molti, in modo da non sapere più dove finisce la tua idea e iniziano quelle degli altri. Finchè non capisci, con commossa razionalità, di avere assistito ad un grande spettacolo, di un artista eccezionale. Facciamo un passo indietro.


Nell’atmosfera frizzante, bella e, mi sia concesso, insolita del Teatro dei Serici, Vinicio Capossela mette in scena il suo concerto per la serata di chiusura delle Leuciane.
Bizzarro, ironico e sentimentale come sempre, Capossela ci ha trattenuti per più di tre ore “chiusi nella bottiglia del bettoliere”, e portato “a spasso” nel tempo e nel suo mondo fatto di mille percorsi carsici gioiosi e inquietanti. Sullo sfondo del palco i colori di suggestive ombre cinesi. Intabarrato in una pelliccia scura e con la maschera da Minotauro, il protagonista apre lo show con una “elettro-spettrale” versione di Brucia Troia, che insieme a una lancinante “Non Trattare” onora il clima surreale dell’ultimo album “Ovunque Proteggi”. Poi un pugno di rapinose ballate, rese ancora più malandrine dal fine violinista Fabris. Da qui parte un viaggio attraverso le tante canzoni del suo repertorio. Lucide riflessioni sui sentimenti, sull’essere umano, e sulla nobile sofferenza causata dall’amore, in cui quei personaggi così abilmente tratteggiati sembrano materializzarsi dietro di lui ad ogni strofa cantata, trovando anche il tempo per ridere di gusto in qualche estemporaneo scampolo che sa di cabaret. Poi improvvise virate verso l’America Latina e l’Oriente, citazioni insospettabili (sensazionale la presentazione della band in lingua latina), prima di una nuova fuga a Capoverde per una languida morna.


Forse una storia d’amore che si trascina al suo termine la si può accettare meglio se si stempera nei passi suggeriti da “Che cossè l’amor”, mambo immaginifico in cui i pizzichi tarantolati del “Ballo di San Vito” fungono da stimolo per la salutare danza liberatoria finale che coinvolge in toto i 2000 assiepati in teatro. Poi il gesto di commiato, “Ovunque Proteggi”. Spettacolo straordinario, emozioni pure che parlano ancora una volta di un successo strameritato.

 

L'evento è inserito nel Leuciana Festival

 

Il concerto di Capossela a San Leucio

foto di Emilio Di Donato

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