Ieri 2 agosto, all’interno della rassegna della Leuciana Festival 2006, la
Corte della Reggia di Caserta, traboccante di un pubblico entusiasta, ha
accolto uno dei pochi mattatori che ancora calcano i palcoscenici italiani:
Gigi Proietti.
Dopo il grande successo riscosso a Roma e Napoli, il poliedrico attore di
teatro, cinema e tv, autore, regista, nonché protagonista di fortunati
spot-tormentone, si è presentato al pubblico casertano con la sua “Serata
d’onore”, autocelebrazione semiseria di quarant’anni di carriera. E il pubblico
non ha mancato di tributargli a ripetizione applausi e consensi, interagendo
laddove sollecitato dal suo garbato istrionismo.
Lo spettacolo si è dipanato con leggerezza attraverso un excursus storico del
come eravamo e del come ridevamo, con inevitabili richiami a Petrolini e Totò,
partendo dalla metafora di una vita assimilata ad un mercatino dell’usato da
cui ripescare emozioni e canzoni. Sono state appunto le canzoni cantate con
voce vigorosa a fare da contraltare a monologhi noti e meno noti, a perle di
autentico cabaret ed intense citazioni poetiche che prendevano l’abbrivio da
duetti improbabili col suggeritore di scena che pretendeva di imbeccargli
capoversi.
Indossando il suo “fumando” (smoking) riesce con eleganza nelle sue citazioni
scatologiche, saltabeccando tra italiano aulico e parlata romanesca. Tra la
barzelletta (la famosa finta operetta morale del cavaliere bianco e del
cavaliere nero) alla caricatura (la più riuscita quello dello chansonnier
francese, vagamente esistenzialista, evocato dal cantante di night che evoca le
assonanze transalpine ripetendo all’infinito “Nun me rompe’r c…”) le
performance che maggiormente hanno infiammato il pubblico.
Così tra una gigionata, termine quanto mai appropriato per l’anagrafe, ed una
riflessione sul tempo che fu, tra una escursione swing alla Michael Buble,
accompagnato dalla figliola Carolina, voce tersa e buona presenza scenica, e
uno stornello, o un bolero sostenuto dalle ance, dagli ottoni e dagli arpeggi
alla chitarra della eccellente orchestra che lo accompagna, lo spettacolo va
avanti per quasi tre ore.
Gli artifici comici sono facili e universali, la mimica la fa da padrona, ed
un’attitudine ludolinguistica mutuata da Totò, che tende a raccontare evocando
parole come spezzoni mimate di altre completamente avulse (“le linguine al
pesto” mimate con uno sberleffo ed un pugno sull’occhio) fanno presa e
divertono in modo trasversale.
Insomma lo spettacolo riuscito di un autentico mattatore, ricco di musica e
risate. Una serata di elogio alla vita, al teatro, al pubblico, alla propria
città, agli amici ed alle passioni, e quella sensazione d’aver passato tre ore
con un amico amato che non vedevi da tanto tempo, e dal quale ti separi a
malincuore.
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