Leuciana Festival: Eliades Ochoa y Grupo Patria

S. Leucio (CE) - 25 luglio 2006

Articolo di Max Pieri


Teatro dei Serici, 25 luglio. La serata del 25 luglio potrebbe iniziare sotto migliori auspici. La macchina fotografica ci abbandona quasi subito: dannate pile scariche! Ma gli spunti che offre il protagonista della serata sono troppo succulenti per lasciarsi fuorviare da uno stupido contrattempo che, al contrario, stimola inedite considerazioni sulla performance.


Alle ore 22,00 entra in scena il Grupo Patria. Come dichiarazione d’intenti impartisce una vera lezione sul fiero riconoscimento della propria identità culturale ed il senso d’appartenenza che solo un’isola e la sua travagliata storia possono dare. Per oltre sessant’anni, in forma di quartetto, questo ensamble ha portato in giro il verbo del son cubano. Dal 1985 è guidato da Eliades Ochoa De Bustamante. L’ingresso del leader è accolto con un boato. Vestito di nero con cappellone a falde larghe, porta a tracolla la sua chitarra-tres. Lo sguardo sornione incrocia quello dei musicisti in movimento sul palco (dovremo aspettare un’ora e mezza prima di rivederli fermi). Al secondo brano hanno già trasmesso al pubblico il loro moto perpetuo che trasforma i lati della platea in sala da ballo. “El Guajiro”, come viene soprannominato il cantante-chitarrista di Santiago de Cuba, snocciola uno dietro l’altro classici del Grupo Patria e del suo repertorio. Tra gli altri “Yiri Yiri Bon”, “Pena En El Alma”, “Pintate Los Labio Maria” sono eseguite con canto abrasivo e indolente. La chitarra cesella interventi brevi ma intensi. Ma sono soprattutto gli episodi del Buena Vista Social Club a incendiare il Teatro dei Serici: effetto salvifico dell’operazione condotta da Ry Cooder e Wim Wenders. “El Carretero”, “Chan Chan”, “El Cuarto de Tula”, “Candela”, pur suonate in punta di dita, ipnotizzano il pubblico. Lo stato vitale dei musicisti si riversa sulla platea, ritornando energizzato sul palco. Con buona pace degli organizzatori, lo stato di trance collettiva trasforma il concerto in sfrenata festa popolare.
Ochoa cinge tutti con simbolici abbracci “…todos hermanos!”. Qualcuno lancia sul palco una bandiera italiana, lui rimane attonito. Forse vede anch’egli quei colori sbiaditi dall’eco lontana di un mondiale di calcio. Sembra convinto che non basta vincere una partita facendo montare rabbia e determinazione e che ci voglia ben altro retroterra per alimentare il senso d’appartenenza ad un popolo! Il processo transculturale che ha alimentato il caleidoscopico popolo cubano pone inderogabili punti fermi e ne sancisce l’unicità. Unico per gli elementi stilistici importati dagli spagnoli, dalle diverse etnie degli schiavi subsahariani e dai colonizzatori francesi del XVII secolo. Unico per la variegata immigrazione europea, cinese, araba ed ebraica del XIX secolo. Unico per la colonizzazione nordamericana. Unico per l’embargo internazionale che ha finito per preservare la cultura popolare cubana dalla “corsa alla modernità”. Lo spirito di quella musica è uscito fortificato, rendendo sons, boleros, tanghi e guarachas reperti archeologici ossuti ma straordinariamente vividi. Il popolo cubano, per diversi motivi (non sempre onorevoli), appare ai bianchi europei una testimonianza dell’Eden perduto e del valore aggiunto che può garantire la multiculturalità. Così se la nazionale francese può perdere una finale mondiale per eccesso di spocchia, grazie a quel medesimo valore aggiunto, rivincerebbe la stessa partita 9 volte su 10.

Alla fine la vittoria di Ochoa è schiacciante. La sua squadra meticcia è composta da fuoriclasse che vanno citati tutti. Musicisti che hanno disegnato nell’aria il ritmo senza suonare un colpo in battere: il pianismo scintillante di Humberto Raul Garcia Gonzales; l’accompagnamento vellutato alla chitarra di Osnel Odit Bavastro; le trombe roventi di Manuel Felix Sanchez Martinez e Alexis Emilio Gonzales Céspedes; il basso ondivago di Jose Angel Martinez Nieves; la ritmica felpata di Jorge Maturell Romero alle percussioni e, soprattutto, di Eglis Ochoa Hidalgo che ha mostrato quanto cangiante può essere il suono delle maracas. Straordinari e basta!

 

 

 
 

 

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