Il teatro dei Serici non poteva contenere tutta quella gente, quell’omaggio
così ingombrante, quel fiume che si riversava e pian piano si allargava,
proprio lì nel piazzale del Belvedere di San Leucio…In effetti il Teatro dei
Serici non lo contenne. Le sedie erano sistemate proprio lì: tra un panorama
infinito, un abisso di stelle e lo scenario di qualcosa che si annunciava
grandioso. Bianco, il colore dominante era il bianco, teloni bianchi a coprire
ogni cosa: strumenti, scenografie, pannelli. La neutralità che può divenire
ogni cosa, ogni colore, ogni immagine e così come dal silenzio ogni suono può
scaturire, ogni voce può venire fuori. Buio. Il primo suono fu il martellare di
un basso…tu tu tu tu tu tu… La prima immagine quella speculare di un viso di
donna con un ventaglio, rosso, a mò di ali battenti. La prima frase: "En el
mundo habria un lugar…". Esplode il palco. Luce. I Gotan Project a servirci,
signori! Ti rendi conto che Dio è davvero un DJ, Dio-Philippe vestito di
bianco, in doppio petto, attorniato dai suoi collaboratori, dei e dee anche
loro…Dio che si trova sotto le mani impazzite del pianista, Dio tra i palmi del
Bandoneonista, Dio nella voce suadente di Cristina, Dio nell’instancabile
chitarra di Eduardo e nei violini celestiali, Dio che mi realizza un sogno e
ancora non mi crea il contatto con la realtà. Si inizia con Diferente, primo
singolo estratto dal loro nuovo album, Lunatico, e dietro di loro – ben dieci
le presenze sul palco- sul telone di cui vi parlavo, scorreva il video della
canzone, adattato al live. Le luci facevano un effetto straordinario. Ogni
ombra si liberava dal suo corpo per diventare essa stessa indipendente e
suonare, ballare, farsi trasportare anche lei dal Tango dei "Gotan que es
musica proibida". Si continua con "Notas" e "Amor Porteño", mentre la
scenografia si fa sempre più interessante: immagini scorrono dinnanzi ai nostri
occhi mentre si fondono ai suoni trasognanti e trasportanti di una musica che
sembra provenire direttamente dal paradiso o dall’inferno…chissà… Per "Mi
Confesiòn" appaiono gli ologrammi dei due rapper che accompagnano i Gotan.
Anche qui, nelle scelte più azzardate, come quella di unire il rap al Tango,
dimostrano la loro bravura, l’esperienza e il binomio Tango-Rap diventa uno dei
momenti salienti della serata…Pero no soy satisfecho, non ancora… Gli elementi
sul palco si susseguono e si scambiano di ruolo e di posizioni. Viola, violini,
violoncello, piano alla mia sinistra; chitarra e vocalist alla mia destra; il
centro dominato dal Bandoneon, da Philippe Cohen-Solal e Christoff H. Muller .
Luci basse, atmosfera calda e Tutta Cristina Vilallonga in Celos. Si sentono in
sottofondo i bicchieri di uno dei locali più in voga di Buenos Aires…indovinate
quale… Stop alla presentazione del nuovo album…Quasi intravedo Astor Piazzola,
Cristina è sempre lì e c’è ancora di più in Vuelvo al Sur. Il Bandoneonista è
in estasi, per lui lo spartito non esiste, i suoi occhi si rivolgono o
all’entusiasmo del pubblico o allo spartito dell’anima, dove le note sono ben
più precise, il trasporto arriva fino alle dita e ogni suono viene concepito
dalle emozioni e per questo è perfetto. Da "Vuelvo" al "Sur a Northe" e qui non
si può non balzare dalla sedia. Mi ricompongo e ritorno al mio posto. Si
riprende il nuovo album. "Tango Canciòn", "La Viguela", "Criminal", stavolta si
fa sentire il pianista. Le sue dita sono impazzite, inutile portarle alla
normalità, si intrecciano ai tasti, entrano in combutta, si riappacificano tra
di loro…I pianisti, strani artisti: in un solo tasto racchiudono il senso di
una canzone… Philippe ci ringrazia più volte: Thank you very much Napoli… Dove
credi di andare Philippe…Esci subito fuori! Ed eccolo di nuovo sul palco: “Io
sono qui -dice- ma voglio vedervi ballare!” Santa Maria! Santa Maria del Buon
Aire: l’APOTEOSI! Tutto il pubblico è sotto il palco, i pochi tradizionalisti
decidono di restare ai loro posti (Cattiva Idea)...Danziamo noi, tangheri
appassionati! La violoncellista non si risparmia, è tutta muscoli e cuore in
questa jam-session; l’archetto viene travolto in vortici vertiginosi, e lui,
poverino, altro non è un piccolo pezzo di legno, si scuce e sfilaccia allo
sforzo, alla tensione dei nervi, mentre lei, bellissima, continua senza curarsi
del mezzo, congiuntasi definitivamente alla musica… Stravolti da tanta bravura,
con le mani indolenzite per il troppo battere, ci ritrovammo alla fine di
questo sogno, con le luci ormai accese, i fari rivolti verso di noi e nella
testa il ricordo di un concerto che perdurerà per altri mille anni. Il fiume
che prima aveva invaso il Belvedere pian piano si ritirava per riversarsi sulle
gradinate ai confini dell’infinito, mentre un tappeto di stelle ci accompagnava
verso casa in una nottata diversa e uguale dalle altre .
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