Dentro uno Zoo. Incontro con Isabella Santacroce

Capua (ce) – 15 Marzo 2006

Articolo di Marilena Lucente


(nota introduttiva di Pia Di Donato) Con immenso piacere e orgoglio accolgo Marilena Lucente, mia collega ma soprattutto scrittrice affermata, fra quanti contribuiscono a rendere il sito bello ed interessante. Queste righe ci fanno capire che il lavoro di scrittore va affrontato con serietà e preparazione ma soprattutto aprendosi agli altri. Non mi resta che dire "Grazie Marilena" e augurarvi una buona lettura.

 

“La realtà per me ha il rumore di una porta sbattuta”. Zoo, il libro di Isabella Santacroce, ha per me il rumore di 125 porte sbattute. Ogni pagina: un tonfo secco, un sussurro, un colpo al cuore.
La realtà per me ha il rumore di una porta sbattuta. Lo dice la protagonista del romanzo. Una trama secca e irsuta. Con tanti grumi di violenza e dolore.
Un libro durissimo, Zoo. L’ho letto in un paio d’ore, ho avuto gli incubi per una notte intera. E nei giorni successivi l’ho dovuto rileggere. Affondando dentro la storia e la scrittura. Si leggono così i libri, prima delle presentazioni. Zoo va in scena il 15 marzo alla libreria Guida di Capua.
Isabella Santacroce arriva chiusa dentro un lungo paltò nero. Sarò io a farle un’intervista. intrecciando le mie domande con quelle del pubblico. Partiamo dai personaggi: un Padre, una Madre, una Figlia. Niente nomi solo esistenze che galleggiano nel vuoto della vita. Maldestri tentativi di comunicazione. Relazioni scheggiate. Ferite. Che feriscono. Amori disperati. Quello del padre per la figlia, quello della figlia per la madre, di cui sente continuamente, incessantemente la mancanza. Sino alla morte. Perché la famiglia è questo, dice l’autrice: un mondo, un intero mondo dove la vita e la morte si toccano e si sfiorano di continuo.
Una madre stupenda, che ha un negozio di abbigliamento. Allestisce con cura le vetrine e devasta la vita casalinga. Un appartamento in penombra divenuto, appunto uno zoo. E lei, la madre, la più crudele delle molestatrice. Anche quando ha voglia di far indossare vestiti speciali a sua figlia esile e scialba. O quando traveste il marito da donna.
Sono importanti i vestiti per Isabella. Dentro e fuori le pagine del libro. Ho letto che disegna lei i suoi abiti. Quello di stasera è di velluto, ha delle rouches sulle spalle ed è lungo sino alla caviglia, un’aria vagamente romantica, incupita dal colore scuro. Verde petrolio, direi.
Ha scritto il libro perché una persona le ha regalato il dolore di questa storia. Una storia vera, raccontata per un mese intero. Registrata su audiocassette e poi riascoltate dalla scrittrice durante la stesura del romanzo. Di notte, nel silenzio, mentre il mondo era immerso nel buio.
A Isabella non piace la luce. Esce poco di giorno, in genere protetta da grandi occhiali scuri. E quando, nel corso della serata, Rosangela Betti, l’amica che l’ha accompagnata qui nonché la “sua fotografa”, prende la macchina fotografica, lei, Isabella un po’ si arrabbia. Non le piacciono le foto. In più non sopporta il flash. Già, Rosangela. Non le ruba la scena, ma sicuramente, anche lei è tutta da guardare. Veste come un dandy ottocentesco, fogge maschile per pantaloni e panciotto, abbinati a lussuosi accessori di seta. E un paio di guanti di pizzo nero, come quelli di Isabella. Però Rosangela ha anche un grande anello dorato da cui sprizzano bagliori di eccentricità e simpatia.
I discorsi con Isabella continuano. Il pubblico ha voglia di sapere. Perchè ha scritto che l’infanzia è una droga potentissima? Ha voglia di trasformare in film i suoi libri? Usa la penna o scrive direttamente al computer? Le risposte sono diritte e precise. Senza sbavature, come una linea di eye liner tirata sulla palpebra. L’infanzia è il tempo dell’immaginazione. E poi le madri quando sono incinta rilasciano una sostanza simile all’oppio, che passa direttamente al bambino, che vive tutta la pienezza della sua vita in quei primi anni. I suoi libri: "Lovers" è già un film, uscito in Inghilterra. Quanto a lei, no. Non si vede ancora come regista. Deve crescere prima nella scrittura. Tra penna e computer, senza dubbio la penna. E’ come un’antenna, capace di captare tutto.
Nel frattempo, gli sguardi del pubblico captano altri particolari. Come sono leziosi quegli stivali chiari, dice una signora in terza fila. E’ chiaro quello di Isabella è un make up molto complicato. Fatto di cosmetici, abbigliamento e parole. Parole che sceglie e varia a seconda delle circostanze.
Perché indossi la maschera, Isabella? Si distrae osservando l’arredo della libreria, i quadri che sono esposti. Arancioni, a loro modo anche loro eccentrici. Viene voglia di prendere un coltello, dice lei. Lascia perdere, Isabella. Meglio chiudere. Piuttosto: la maschera? La realtà non mi piace, risponde. E quindi devo essere io a decidere come e quando incontrarla.
La serata è finita. Isabella lascia lo zoo. E come alla fine di ogni presentazione, una lieve euforia, nel giro di autografi e di saluti. I lettori: ognuno a infilarsi nella propria realtà. Mi fai accendere? E’ tardi, mi accompagni a casa? Quando ci vediamo?

 

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