Fausto Mesolella “I Piaceri dell’Orso” Editrice Zona, 2005.

di Massimo Pieri (healingmachine@yahoo.it)


Fausto Mesolella non ha certamente bisogno di presentazioni, soprattutto su questo web magazine. Eppure, le vesti indossate per “I Piaceri dell’Orso“ ne mettono in luce lati inediti, anche per chi lo conosce da qualche decennio. La lettera di Pacifico e l’introduzione di Silvia Lapi tentano di tracciare i confini di quest’enigmatico oggetto: un libro o un cd musicale, in ogni caso l’uno propedeutico all’altro! Fausto Mesolella è “…una persona con poca punteggiatura…”. Il suo libro è “…il suo pensiero e nel pensiero non c’è pausa…”, come “…una pallina matta, imprevedibile nel suo percorso…”.
Il vago senso di nostalgia che attraversa tutta la performance non fa trapelare segni di ansietà o tristezza. Piuttosto consapevolezza, ora elegiaca, ora furiosa. Consapevoli sono di sicuro le quattro canzoni. Segnali forti e chiari come la versione straordinaria di “Un giorno dopo l’altro”, capolavoro assoluto di Luigi Tenco e Jacques Chaumelle. Altrettanto ispirati e incisivi sono gli inediti “’Na Stella” (pur già apparsa nell’ultimo lavoro di Gianmaria Testa), “L’Eclissi del ‘62” e “Il Piacere dell’Orso”. Nonostante la collocazione finale, quest'ultima è il vero baricentro dell’opera, tutta concentrata nell’”attesa”, nel godersi il divenire piuttosto che l’essere, il tragitto piuttosto che la meta. In mezzo c’è il fluire dei pensieri, dei ricordi, delle esperienze di musicista e d’uomo. La sintassi del monologo è come una rete i cui nodi sono le parole-chiave che portano il discorso in diverse direzioni, con leggerezza ed ironia, senza forzature o difficoltà interpretative. Chi appartiene alla sua generazione, o a quelle limitrofe, potrà anche specchiarsi nella voce di Fausto. La voce di un io frammentato, la cui presunta integrità è un enorme finzione, che egli stesso smaschera più volte nel corso della lettura. L’investigazione retrospettiva delle esperienze vissute porta a galla, in maniera obliqua ma inesorabile, il suo essere esegéta, snocciolando la sua versione dei fatti in modo beffardo e con lo stesso ritmo incalzante dei pensieri.
Questa volta il Chitarrista, nel misurarsi l’anima col metro assoluto, non ha eseguito complesse progressioni armoniche o equilibrismi tecnici. Questa volta l’Artista ha maneggiato con sagacia anche altri mezzi espressivi: la scrittura, il canto, l’affabulazione. Questa volta l’Orso ha preso in mano il proprio cuore per osservarne minuziosamente le ferite e trarne aspri ed ironici piaceri “…i piaceri dell’Orso…”.
 

 

 
 

 

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