Caserta, 26 maggio. Qual è il primo problema che si è posta l’umanità? Quello della conoscenza, del sapere, della consapevolezza del vivere. E’ così che Giovanni Avena dà inizio al dibattito svoltosi ieri pomeriggio presso il Duomo di Caserta.
- ultimo incontro del percorso seminariale sul tema ”L’informazione:
verità, silenzi, menzogne”, organizzato dal gruppo casertano
dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo) e dalla Tavola per
la Convivenza Civile e lo Sviluppo Umano (Tacocisu) della Provincia di Caserta,
con il patrocinio della Regione Campania- sul ruolo che oggi hanno l’informazione e la scrittura. Due gli ospiti d’eccezione: lui e la scrittrice Dacia
Maraini.
Tutta incentrata sul rapporto tra potere e informazione la tesi sostenuta da Avena, assertore di una mancanza di libertà di informazione e di saperi manipolati da grandi poteri, quali quelli dell’industria, della mafia, della stessa Chiesa.
Poteri -sostiene Avena- che per governare, per condizionare, per asservire o per servire (in certi casi) si servono dell’informazione. Si assiste così ad un processo di globalizzazione da parte di grandi concentrazioni di capitali, di superpotenze industriali o militari, che altro non fanno che seguire strategie comuni e comprare tutto, anche l’informazione, con i satelliti, le tv, le testate giornalistiche...
Così personaggi insignificanti diventano star, mentre fatti gravissimi vengono occultati per evitare di mettere in crisi questo potere globalizzato. L’informazione, allora, nelle mani di pochi potenti diffonde menzogne, per scopo di lucro e di potere, nasconde verità scomode perché manipolata, ci priva del diritto di sapere ed esercita sull’individuo addirittura un controllo totale.
Decisamente meno apocalittica la tesi della Maraini: non è possibile -sostiene la scrittrice- affermare che oggi non ci sia libertà di informazione. Piuttosto sono sicuramente tante le forme per distorcere la verità e la libertà, per cui il compito dello scrittore è di opporsi alle menzogne e sostenere con coraggio la libertà d’espressione. Perché l’impegno dello scrittore è prima di tutto un impegno civile: in quanto testimone del suo tempo, egli deve scendere in profondità, porre domande, cercare i luoghi dove interrogarsi. La letteratura, quella seria, scava nella realtà, mette in risalto i problemi, ma non dà risposte, pone piuttosto delle domande (“Non chiederci la parola” […] scriveva già Montale). E’ con la scrittura però, e con essa la lettura, che possiamo scoprire una parte di noi stessi: la lettura mette in moto la creatività, ci permette di diventare protagonisti di una storia e di ricostruirla, rende propri un oggetto, un sogno, senza cesura o limiti.
E quando entriamo in una storia mettiamo in moto una coscienza etica che ci spinge alla ricerca della verità: chi non legge non conosce, ed è quindi vittima della prima pubblicità che gli viene addosso. Chi legge sa scegliere.
E’ questo bisogno di conoscenza e di verità che fa da sfondo anche al suo ultimo romanzo, “Colomba”, che con un ritmo narrativo avvincente, narra la storia di Zaira, una determinata e coraggiosa vecchietta alla ricerca della nipote scomparsa tra i boschi abruzzesi. E’ però una ricerca che va al di là della vicenda narrata e diventa appunto una ricerca della verità, intesa come patimento, dolore sociale. Due i livelli di narrazione del romanzo: il primo è dato dalla scomparsa di una ragazza di 20 anni che lavora non lontano da casa in un ufficio postale. Di lei si trova solo la bici lasciata in un bosco: da qui la ricerca della nonna che con determinazione si mette a cercarla e finisce per ripercorrere tutta una generazione a partire dagli anni ‘40.
L’altro livello è il racconto della voce narrante che, un po’ pirandellianamente, si fa personaggio e al tempo stesso storia da narrare. Non mancano i riferimenti autobiografici, come la morte del padre della scrittrice, e del resto, come afferma la scrittrice, quando si scrive un libro non si può non attingere ad esperienze personali.
Il tema di fondo del romanzo resta l’impegno civile, l’attenzione verso i ceti deboli e le donne, quelle emarginate, quelle che guardano al loro passato fatto di silenzi e di esclusione. Sullo sfondo un grande amore per la natura, per le montagne abruzzesi, e la percezione del tempo inteso come dolorosa perdita. Lo stile è chiaro, fluido: del resto il linguaggio, prima ancora di essere comunicazione, è identità, appartenenza ad una storia, ad una cultura, quella dei grandi scrittori, come Dante e Boccaccio, che hanno “fatto” la nostra lingua. Ed è proprio la Maraini a sostenere il valore della lingua e della tradizione italiana oltre che dialettale. Ci sembra opportuno allora ricordare gli appelli del Presidente dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini, per la difesa della nostra lingua “cancellata da tutte le conferenze stampa dei commissari europei ad eccezione
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