Note critiche su Anna Pozzuoli e Pasquale Sorrentino
L'essenza dell'opera di Anna Pozzuoli è nella sua energia cinetica:
le sue sculture ed istallazioni, composte essenzialmente di cavi di ferro,
vibrano e mutano nello spazio, animate dal soffio dell'aria e dalla forza di
gravità. L'artista è consapevole che arrestare il movimento significa abolire
la dimensione temporale, estirpare l'anima, allontanarsi dalla realtà, che è
dinamica e in continuo divenire. Una concezione dell'opera che risale ai
mobiles di Alexander Calder, primi esperimenti di arte cinetica: "L'important -
asseriva il maestro americano - c'est que le mobile attrape le vent. Un mobile,
c'est comme un employé de la fourrière. C'est un employé de la fourrière pour
le vent."
Anna Pozzuoli tende ad esplicitare, con un codice linguistico essenziale e
moderno, sfere di sentimenti che affiorano dal suo inconscio. L'assenza di
volume, conseguita attraverso un uso sapiente del metallo e della luce, esprime
la volontà di emanciparsi dalla materia per liberare lo spirito, nella sua
eterea purezza.
Cifra estetica di Anna Pozzuoli è la spirale, metafora del ripetersi ciclico
della vita, lungo un percorso lineare o tortuoso, crescente o decrescente, che
idealmente si estende all'infinito. La spirale evoca l'assoluto e al contempo è
un segno mistico, arcaico, che richiama i tatuaggi delle culture polinesiane e
precolombiane.
Una sensibilità ludica, unita al naturale istinto materno, induce l'artista a
concepire le sue istallazioni in funzione di un pubblico infantile. Anna
Pozzuoli è affascinata dall'idea di montare le sue spirali in un giardino
pubblico, dove i bambini possano entrarvi, giocarvi, interagire con le spire di
ferro e le girandole azionate dal vento.
La formazione artistica di Pasquale Sorrentino si è svolta fuori delle
accademie, attraverso la frequentazione di qualificate botteghe e laboratori
artigianali. Nei primi anni '90 inizia a scolpire il legno e concepisce figure
iconiche, totemiche, dal sapore ancestrale. Le sue sculture combinano
l'espressionismo arcaico dell'arte africana e la sensibilità visionaria dei
surrealisti in un linguaggio energico e fluido, animato da una cocente
spiritualità.
Nella metà degli anni '90, l'artista avverte l'esigenza di ambientare le
proprie sculture entro una sfera d'azione, che può essere un paesaggio o una
visione astratta. Allora applica le figure lignee sulla tela dipinta e
sperimenta la fusione di pittura e scultura. L'impasto cromatico, denso e
materico, acquista un tono scultoreo che rimanda idealmente alle metope
classiche.
Esemplare di questa fase artistica è il monumentale trittico dedicato ai
continenti, che s'impone per la tensione delle forme e la temperatura dei
colori, che sfumano nelle gamme cromatiche del rosso bruno e del blu marino.
Nelle superfici increspate e smangiate, nelle rughe che solcano i corpi, nella
distorsione di parti anatomiche, l'artista esprime le sollecitazioni del
subconscio, il malessere sociale e l'angoscia esistenziale che logora l'uomo
contemporaneo.
Nelle opere più recenti, la componente onirica e surreale prevale sulla radice
espressionista e primitivista. Allora Pasquale Sorrentino individua una cifra
lirica che, attraverso una linea sinuosa e avvolgente, ravvivata da cromatismi
caldi e accesi, ricostruisce un universo vivo dell'immaginario. L'angoscia
dell'artista non si estingue, ma si esprime attraverso una pittura visionaria,
che alterna note d'amarezza e d'ironia. Questa fase del suo cammino artistico
può essere rappresentata da "Incontro furtivo", opera enigmatica e densa di
significati. In primo piano vi sono due figure scolpite, dal profilo allungato,
che tendono l'una verso l'altra. L'unione tuttavia è preclusa: un filo di ferro
imprigiona i corpi e nega loro la possibilità di un contatto fisico, di una
relazione intima oltre il gioco delle apparenze. L'ambientazione metafisica e
l'assenza di prospettiva vincolano la scena in una dimensione astratta, che
sfugge alle categorie spazio-temporali. L'intelaiatura della tela, dipinta al
rovescio, assume una valenza architettonica e definisce il confine tra lo
spazio reale e lo spazio pittorico. I colori lucidi e brillanti, che nascono
dall'impasto di colle viniliche e colori acrilici, denunciano le trascorse
esperienze di Sorrentino nei laboratori di ceramica.
Le immagini che l'artista cerca di fissare sulla tela nascono dal torbido
agitarsi del suo inconscio, sono larve umane che non riescono a liberare la
propria spiritualità, ad esprimere le intime pulsioni che implodono all'interno
dei corpi. L'irriducibile opposizione fra la tensione dello spirito e la
prigione del corpo si esprime con estrema sintesi in "La sofferenza dell'ultimo
Renoir", scultura icastica e straziante che si contorce entro la cornice
libera.
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