Strano gioco di prospettiva spazio-temporale, sabato 4 settembre al Teatro della Torre di Casertavecchia. Due personaggi chiusi in una cucina squallida che ingigantiscono fino a prendere possesso di tutto il teatro, cornice atavica e sincrona col rito antico che si apprestano ad inscenare: quello dell’amicizia maschile. Il dialetto siculo (quello dell’ex Magna Grecia), trascina nel XXI secolo quest’archetipo mitico, al cui fascino soggiace anche e soprattutto un regista scarno e mirabile. Carlo Cecchi, con toni mai sommessi, si avventura in impervie zone interiori, ove abita un aspro dispotismo e una timida tenerezza.
La rappresentazione salpa da lande anglo-americane (rievochiamo Beckett e Pinter, per il dualismo scenico e lo Steimbeck d’Uomini e Topi per il tema dell’amicizia sottomessa), in cui i personaggi sono isole che si dividono la scena, con tempi di reazione lentissimi e poi fulminei per poi rallentare di nuovo fino quasi a fermarsi (il tempo scandito dalle “Bollicine” di Vasco Rossi campionato a 16 giri). L’approdo è tipicamente mediterraneo, condito dalla sicilianità che cala la tragedia della presunta morte imminente - per cause diversissime (malattia per l’uno, omicidio per l’altro) - nel quotidiano vivere maledetto. La consuetudine in scena impone il dualismo. Una volta la subalternità sorniona e dolcemente vaga, scandita da “wishful thinking” come richieste infantili e pressanti
(Nunzio - Spiro Scimone). Un'altra il cipiglio autoritario, la durezza e il distacco e poi l’improvvisa tenerezza nel non sottrarsi a risposte (non risposte) per non sciupare i sogni altrui
(Pino - Francesco Sframeli). Il luogo ed il tempo d’incontro è nell’alcool, nei brindisi agli istanti della vita e infine il più importante, quello alla morte che libera dalle sovrastrutture odiose imposte dal proprio vissuto e che finalmente annulla le distanze.
Spiro Scimone, autore e co-protagonista ripropone un’opera del ’94, che vanta traduzioni in diverse lingue e riconoscimenti internazionali. Lo fa con intatta freschezza e con accorato pathos affiancato da un bravissimo Francesco Sframeli. Il messaggio di speranza ci raggiunge soltanto a piece conclusa, con l’invito dei due attori ad accendere una candela alla memoria del massacro in Ossezia.
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