Da qualche tempo avevo perso le tracce di Leonardo
La Peruta, poliedrico alto sassofonista, formatosi fra Caserta,
Avellino e Siena. Dopo diverse esperienze maturate in giro per l’Europa,
al fianco d’importanti musicisti di fama nazionale ed
internazionale (Joe Barbieri, Pietro Condorelli, Franco D’Andrea,
Josè Maria Pedros, Ernest Rejseger, ecc.), ho scoperto che Leonardo
si è stabilito in Spagna. Proprio nella penisola iberica si trova
ora a tenere alto il nome della musica italiana in generale e
casertana in particolare. Quest’estate ho avuto la fortuna di
incontrarlo a Caserta. E’ stata una buon’occasione per
raccontarci le nostre reciproche avventure, fare una breve jam sul
terrazzo di casa Di Donato e, soprattutto, programmare quest’intervista,
realizzata dopo un serrato scambio di mail.
Parlami della tua personale scoperta della
musica.
Mah, se per scoperta della musica intendi quel
tentativo di emettere suoni con uno strumento qualsiasi ed il
conseguente piacere che se ne può trarre, ciò mi è accaduto assai
precocemente. Tutto sommato in un contesto anche poco romantico:
durante un’ora d’educazione musicale in una scuola media di una
provincia del sud Italia. Lo strumento in questione era il flauto
dolce. Ricordo che l’insegnante si chiamava Gentile ed era proprio
in gamba. Lo posso dire con cognizione di causa perché, qualche
anno dopo, ho lavorato anch’io nelle scuole medie e mi sono reso
conto di quanto sia difficile insegnare, soprattutto la musica.
Ricordo di essermi emozionato ripetutamente nell’emettere quei
suoni. Non ti dico poi quando suonavamo tutti insieme! Inoltre mi
sembrava davvero strano avere come compito per casa “suonare il
flauto”. Che bello!
La scuola dei musicisti casertani non mi sembra
vantare una nutrita schiera d’ance. Come e quando hai scelto il
sax alto?
In verità tutto è nato per gioco e
fortunatamente lo è ancora. A volte anche il caso ci mette la sua.
Nella lontana estate del 1984 conobbi la famiglia Di Donato e, tra
questi, Luca che all’epoca suonava la tastiera ed il sax. Avevo 11
anni e non sapevo nemmeno com’erano fatti questi strumenti
(qualcuno direbbe che non lo so neanche adesso). Dato che suonavo
bene il flauto dolce mio padre mi propose di imparare a suonare il
sax (piaceva molto anche a lui). Accettai! Da allora il gioco non è
mai finito, anzi è diventato sempre più grande, portandomi all’interno
di varie orchestre ed a suonare con musicisti di diverse nazioni,
culture e lingue. Mi piace suonare per il puro piacere di suonare,
con persone che partano dal mio stesso punto di vista, facendo le
cose seriamente ma che non si prendano troppo sul serio! Così la
musica può continuare ad essere il gioco del bambino che mi porto
ancora dentro. Se questo mi da anche da vivere… che Dio sia
lodato! (direbbe sempre qualcuno). In seguito ho provato a studiare
anche altri strumenti come il piano, il flauto, il clarinetto. Mi
costava così tanta fatica che, confrontata alla naturalezza con cui
suonavo il sax, mi ha fatto decidere di non cambiare più il mio
strumento.
Quali sono stati i musicisti che hanno
contribuito a formare il tuo stile?
Mah, non so se si può parlare di un mio stile.
Penso che i musicisti che hanno uno stile sono quelli che hanno
influenzato la musica in generale, come Miles Davis, Jimi Hendrix
ecc. Forse sarebbe più giusto dire da quali musicisti mi sono
lasciato condizionare di più. Se mi passi questa chiave di lettura,
penso che il musicista dal quale ho tratto maggiori influenze è
stato Miles Davis. Molti dei miei amici dell’adolescenza se lo
ricordano ancora. Ho avuto la fortuna di sentirlo suonare dal vivo
due volte, nel luglio e nell’ottobre del 1987. Altri musicisti
importanti che non posso non citare sono: Charlie Parker, Bob
Mintzer, Kenny Garrett, Duke Ellington, Kenny Wheeler, Steve Coleman;
ma anche alcuni musicisti classici e contemporanei come Beethoven,
Chopin, Debussy, Ravel, Stravinsky, Takemizu e Ligeti.
Sassofonista, compositore, arrangiatore,
direttore d’orchestra… In quale dimensione ti senti maggiormente
a tuo agio?
Vedi, il 18 ottobre di quest’anno ho eseguito a
Marbella uno dei miei concerti più belli. In questo concerto per la
prima volta sono stato direttore d’orchestra e,
contemporaneamente, arrangiatore, autore di una parte dei brani ed
in alcuni ho suonato anche il sax da solista. Forse è proprio
questa la dimensione in cui mi trovo più a mio agio. Probabilmente,
oggi come oggi, suonare due ore di fila il sax in un quartetto mi
stancherebbe.
Hai viaggiato molto, maturando diverse esperienze
professionali. Quale musicista ricordi con maggiore piacere fra
quelli che hai incontrato sulla tua strada?
Forse ti sembrerà strano ma i musicisti che
hanno sempre attirato maggiormente la mia attenzione sono quelli “da
strada”. Spesso mi sono soffermato ad osservarli,
intrattenendo con loro interessanti conversazioni. Hanno un rapporto
con la musica che altri non hanno. Ne ricordo uno in particolare, un
sassofonista americano di colore - settant’anni circa - che viveva
a Madrid. Raccontava di essere scappato dagli Stati Uniti per le
troppe pistole in circolazione!
Da qualche tempo vivi in Spagna. Cosa ti ha
spinto proprio dalle parti di Malaga?
Sì, ormai vivo in questa città da due anni. Le
ragioni che mi spingono soprattutto a programmarne la permanenza -
credo per i prossimi 10 anni - sono molteplici. Cercherò di dare un
quadro esauriente. L’Andalusia è la terra natia di Pablo Picasso,
Paco de Lucia, Jorge Pardo ecc.. E’ una terra dove si dà molta
importanza all’arte ed agli artisti. E’ la terra dove è nato il
flamenco, ricco d’improvvisazioni, armonie modali, danza e poesia.
E’ una terra che, oltretutto, non mi fa sentire straniero.
… a parte gli stimoli artistici, anche un bel
posto per vivere?
Credo proprio di sì. C’è una buona qualità
della vita ed è forse la regione più a dimensione umana della
nostra vecchia Europa.
Come trovi la scena musicale spagnola e com’è
stato il tuo inserimento in essa?
Devo dire che il mio punto di vista parte dal
basso, nel senso che non conosco abbastanza le alte sfere del
panorama musicale spagnolo. Ho incontrato, in genere, ottimi
musicisti, preparati e molto disponibili. Gli spagnoli sono un
popolo strettamente legato alle tradizioni e questo nella musica si
percepisce fortemente. Credo sia un punto a loro favore perché
consente di mantenere una forte e fiera identità culturale,
rendendoli perfettamente identificabili da altri musicisti. Per
quanto riguarda l’inserimento nel loro contesto devo confessarti
di aver pagato cara la scarsa considerazione di cui ancora godiamo
noi del sud, anche qui in Spagna! Non dovrei dirlo, ma molte
opportunità professionali si sono concretizzate quando ho
cominciato a dire che venivo da Milano, ove, tra l’altro, ho
realmente lavorato per un anno prima di trasferirmi quaggiù…
…quello che dici mi sembra piuttosto forte…
…forse è il sintomo di un certo provincialismo
diffuso, di cui anche la Spagna non è esente, ma per me è stato
molto duro da accettare. Come questa ci sono state anche altre
occasioni per costatare come la comunità internazionale ha un’idea
piuttosto circoscritta di noi italiani, soprattutto se provenienti
dal sud! Per quanto mi riguarda, spero, col tempo, di contribuire a
modificare “certe idee”!
Sei un compositore molto prolifico. Quale fra le
tue composizioni ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Si chiama “Cos Syn”, è un brano
arrivato secondo al concorso internazionale “Scrivere in Jazz 2000”
che si tiene ogni anno a Sassari. Vorrei aggiungere, comunque, che
nonostante abbia scritto tanto non sono particolarmente legato alle
mie composizioni.
Progetti futuri?
Produrre tanta e bella musica in concerti,
registrazioni, partiture. Presto terrò altri concerti con la mia
orchestra: Barcellona, Isola di Gran Canaria, Nizza. Tra i progetti
strettamente personali, mi piacerebbe registrare qui in Spagna un
disco con musicisti di flamenco ed io come solista. Chissà che
presto non si realizzi…
Malaga/Caserta
Dicembre 2003 |
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