Caserta, Aprile
2003. Una mattina, passeggiando lungo il viale, sotto i pini,
incontrai il mio amico Franco
Zimbardi, che, con la sua solita voce rauca, il suo atteggiamento
serioso, mi suggerì di realizzare presso il nostro Istituto (ITIS
Giordani) un progetto sulla canzone napoletana.
L’idea mi sembrò
subito molto interessante anche se ardua e complessa.
Dopo alcuni giorni e
qualche esitazione quindi, grazie all’aiuto e la generosità
dell’amica Anna Maria De Vita, era pronto il progetto che fu
subito ben accetto da molti colleghi tanto che ben presto la
commissione divenne numerosa e nutrita.
Lo scopo era quello
di coinvolgere i nostri studenti che, essendo giovanissimi, non
conoscono l’argomento se non per ”averne sentito parlare” o
quanto meno “canticchiare” qualche motivo dalla nonna..
Successivamente,
grazie alla presenza dei “Maestri” Rosario Castrogiovanni,
“luminare” e grande
conoscitore della cultura classica napoletana, grazie
all’entusiasmo e alla spinta del prof. Nunzio Gioglio, della prof.
Grassito, l’entusiasmo di Margherita Rossi, Carmela Castaldi,
Cristina Marzano, l’Instancabile e generosa Carla Cafiero,
l’inconfondibile “tocco di classe” Di Giorgio Agnisola, il
sorriso di Ennio Ranucci, la signorilità di Carlo Roberto Sciascia,
la fiducia del caro Preside Francesco Villari,
abbiamo scoperto che, i ragazzi, venivano non solo
a conoscenza di un “tesoro “prezioso quanto, avvertivano
una insolita
“scossa” che li
“scuoteva”, stimolando il loro interesse.
A torto o a ragione,
dall’esperienza avuta attraverso i miei figli, ho constatato che
l’attuale preparazione dei nostri giovani diplomati, non è
certo quella che ogni insegnante o genitore
si aspetterebbe:
ognuno di noi si è
reso certamente conto che
solo una minima percentuale della nostra “semina” viene
“raccolta” mentre gran parte del nostro lavoro scompare
inesorabilmente nel dimenticatoio. Se a ciò aggiungiamo la
dispersione scolastica, avremo un quadro
abbastanza chiaro e potremmo senz’altro ribaltare il
principio del “massimo rendimento col minimo sforzo”.
Le cause? I motivi?
Le ragioni?
Ma…forse sono da
ricercare nella
famiglia, nel personale insegnante, negli studenti e nel contesto
sociale in cui viviamo.
I genitori?
”Poverini”! Impegnati nel lavoro, aumentato dopo
“l’introduzione dell’Euro”, non hanno il tempo di dedicarsi
ai figli, in un mondo dove l’interesse economico,
l’immagine e l’apparenza prevalgono
sui contenuti, il diploma o la laurea sono spesso solo una aspetto
esteriore. Quello che conta è il “pezzo di carta”.
E noi insegnanti ?
Facciamo il possibile per migliorare le cose?
Ahimè, in ogni
contesto sociale, esiste il buono e il meno buono, il
“lavoratore” e lo “scansa fatica” il puntuale e il
ritardatario.
Se a ciò si
aggiunge la qualità del messaggio, si arriva alla conclusione che
non sempre “sapere” vuol dire saper trasmettere.
La presenza
e l’affetto dell’Insegnante diventano a questo punto
determinanti nell’apprendimento.
Probabilmente, sarò
il primo ad avere bisogno
di nuovi strumenti e nuovi modi di trasmettere, adeguati al
dirompente progresso tecnologico, e agli interessi concreti e nuovi
dei giovani..
Fare l’insegnante
non è facile perché è un po’ come fare il genitore: non
esistono scuole che insegnano a fare il padre.
I programmi: Manzoni,
Leopardi, bravissimi ma, perché non provare con Salvatore Di
Giacomo o Jovanotti, i Beatles o gli Avion Travel. E' una follia?
Forse ma, perso per
perso: “Tentare non nuoce”.
Gli studenti? Poveri ragazzi... quanti problemi! Mancava solo
un’altra guerra!
Quello che più mi
preoccupa è vederli tristi, a volte ansiosi, preoccupati per un
“quattro” o tanti “quattro”.
Quello che non
sopporto è vederli piangere. Quello che mi rattrista è non vederli
più perché “rinunciano” alla scuola.
L’esperienza della
"canzone classica Napoletana” mi ha insegnato che, attraverso
la musica, la poesia e la cultura nostrana,
i giovani possono ritrovare
l’entusiasmo spontaneo di apprendere
anche la storia, la fisica o la geografia.
La prova più
evidente, l’ho avuta
quando, dopo un’ora di spiegazione sui Cicli di lavorazione, ho
constatato che buona parte della classe non aveva appreso gran ché.
Mi è venuto allora
in mente l’amico Michele Senatore che, spesso con
la “barzelletta” scherzosa, riesce a trasmettere nozioni
e concetti di fisica difficili e noiosi. Mi confidava uno studente:
“le sue ore passano veloci, con serenità, senza accorgertene.”
L’esperienza di
tanti anni di convivenza con la scuola e con gli studenti, mi hanno
fatto capire che non basta conoscere a fondo l’argomento perché
esso sia ben accetto e venga assimilato dalla classe ma
probabilmente ad accrescerne l’interesse concorrono molti altri
fattori quali il tono di voce, la dialettica, la puntualità, la
determinazione, l’atmosfera che si riesce a creare, la
consapevolezza di farsi capire dagli alunni meno bravi, il nostro
umore, l’abbigliamento o l’acconciatura
dei capelli, il clima che si crea
nella classe, l’ambiente in cui operiamo.
Ho imparato ancora
che, quando l’allievo affronta
un argomento interessante, quando ha la consapevolezza di essere
protagonista, se ad esso si associa la musica, la passione, la
poesia, i risultati sono confortanti. Se a ciò aggiungiamo poi la
presenza, lo sguardo ed il respiro affettuoso e continuo
dell’insegnante, i risultati possono migliorare.
Concludendo, questa
esperienza mi ha dato l’opportunità di apprendere
cose nuove e sconosciute, di lavorare con serenità a fianco
di colleghi e amici straordinari e di ragazzi stupendi. Da loro ho
appreso che, in fin dei conti, l’importante nella vita e nella
scuola è confrontarsi con gli altri
e impegnarsi a fondo per raggiungere il massimo risultato. Se
poi ciò non si realizza, non importa...
comunque ci abbiamo provato. |