Febbraio 2003. Le pagine di questa web magazine
ospitano finalmente Vittorio Remino, personaggio piuttosto atipico
nel contesto musicale di Caserta. Con padre partenopeo e madre d’origini
turche, incontriamo un musicista cresciuto sottovento: le radici
qua, la chioma un po’ più in là. Con il suo straordinario
bagaglio d’esperienza, non possiamo non considerarlo un
catalizzatore di progetti musicali di qualità e un musicista
trasversale. Nonostante abbia suonato con Audio 2, Avion Travel,
Nino Bonocore, Pietro Condorelli, Eduardo De Crescenzo, Enzo
Gragnaniello, Lello Panico, James Senese e molti altri ancora, ha
mantenuto inalterate le sue doti personali: sottile ironia,
understatement quasi anglosassone e, soprattutto, qualità umane non
comuni nell’ambito del mondo musicale. Quello che segue è il
resoconto di una recente piacevole chiacchierata.
Mi vuoi raccontare dei tuoi esordi musicali:
studi, primo gruppo, primo concerto?
Sin da bambino, forse prima della parola, mi sono
accorto delle vibrazioni che producevano in me le canzoni trasmesse
dalla radio e dalla tv. Da subito ho percepito questa attrazione
verso la musica, entità incolore e così poco materiale che da,
comunque, peso e dimensione alle emozioni. La mia prima esperienza
è stata la partecipazione ad un festival per ragazzi che
organizzano ancora oggi a San Nicola la Strada. Pur suonando già la
chitarra da autodidatta, mi presentai ai provini come cantante.
Pietro Fusco, una persona che ora non c’è più ed a cui sono
molto legato, era l’organizzatore del festival ed il pigmalione
dei giovani talenti che portava alla ribalta. Fu lui ad
incoraggiarmi a proseguire questo “gioco”. In seguito -
avevo circa dodici anni - fui invitato a suonare il basso in un
gruppo di San Marco. Si chiamava Alpha Centauri e vi militava Mimmo
Ciaramella (il batterista della Piccola Orchestra Avion Travel ndr.).
Con questa band mi sono fatto le ossa, suonando cover di gruppi pop
e rock. Ci siamo tolti anche un sacco di belle soddisfazioni,
vincendo praticamente tutti i festival per emergenti a cui
partecipavamo.
Quando - da emergente - sei passato ad avere un
vero e proprio ingaggio?
Ah, questo me lo ricordo benissimo. Ad un certo
punto con Mimmo Ciaramella siamo diventati una coppia. Ci muovevamo
autonomamente, senza un progetto specifico, trovandoci a suonare in
situazioni diverse. Pietro Fusco - sempre lui - ci reclutò per
accompagnare una giovane cantante ad un festival. Il compenso fu di
dieci sigarette a testa. Toccammo il cielo con un dito!
Invece il primo vero progetto artistico è stato
con la Piccola Orchestra Avion Travel.
Sì. Ho passato ancora qualche anno attraverso
diverse esperienze musicali e, se non ricordo male, fra il 1983 e il
1984 entrai a far parte degli Avion Travel. Si chiamavano ancora
così! E’ stata la prima esperienza nell’ambito di una proposta
artistica autonoma. Insomma, ho smesso i panni di turnista di palco,
passando a fare qualcosa di notevolmente più gratificante.
C’è stato un momento o un periodo specifico in
cui hai capito che la musica poteva diventare una professione?
A dire la verità, no! Magari c’è stato un
momento in cui ho capito che era troppo tardi per cambiare mestiere.
A parte gli scherzi, mi sono solo trovato a seguire il corso degli
eventi in maniera abbastanza naturale. Forse è scattato qualcosa in
più a metà degli anni ’80. Ero già con gli Avion, ed ho avuto
una serie di richieste di collaborazione (Nino Bonocore, James
Senese, Enzo Gragnaniello) che hanno cambiato leggermente le
prospettive del “gioco”.
Di tutti gli artisti con cui hai suonato, quale
di essi ti ha dato di più da un punto di vista professionale e
umano?
Direi che tutti hanno contribuito, in diversa
misura e qualità, alla mia formazione. Se proprio dovessi fare un
nome, penso che l’incontro con James Senese è rimasto più
impresso nel mio immaginario di musicista. Con lui ho imparato a
sintonizzare l’anima - il soul - con il flusso delle note. Mi ha
consentito di acquisire una giusta consapevolezza, vivendo la musica
in maniera globale, a prescindere dagli aspetti meccanici che essa,
in ogni caso, contiene.
Suoni mancino con un basso destro senza invertire
la sequenza delle corde. Quali problemi ti ha creato questo
approccio allo strumento?
A dire il vero, problemi - da parte mia -
nessuno. Le difficoltà sono cominciate quando ho avuto la
necessità di approfondire la conoscenza dello strumento, cercando
da altri qualche consiglio. Tutti puntualmente mi dicevano che
dovevo invertire le corde per seguire un corso normale d’apprendimento...
…quindi essere autodidatta è stata una scelta
forzata...
Esatto! Ad un certo punto ho dovuto proseguire da
solo, cercando e trovando le soluzioni idonee per riprodurre suoni
ed idee che sentivo da altri musicisti.
A tal proposito, quali sono stati i musicisti che
ti hanno influenzato nel creare il tuo stile di bassista?
Influenzato proprio, credo nessuno. Altri
musicisti possono darti un’apertura maggiore nella comprensione
dei tuoi limiti, perché di limiti n’avremo sempre! Anzi, più si
va avanti nella musica, più capisci che c’è da capire... come
nella vita del resto! Indubbiamente ho apprezzato il lavoro di molti
eccellenti bassisti. In primo luogo Jaco Pastorius, per gli aspetti
squisitamente tecnici e, ancor più, per l’approccio personale
allo strumento, per quella sua ricerca della dimensione di musicista
prima e di bassista poi. Mi piace il gusto e l’intelligenza
musicale di Marcus Miller, anche se le mie caratteristiche sono
lontane dal suo modo di suonare. Trovo pure interessante il lavoro
fatto da Mick Karn all’epoca dei Japan. L’elenco potrebbe
continuare ancora a lungo!
Quale strumentazione prediligi utilizzare nel tuo
lavoro?
Naturalmente la scelta della strumentazione
dipende molto dal contesto musicale. Come amplificazione uso un Swr,
con cui mi trovo bene da tempo, combinato a casse Bag End. Per
quanto riguarda gli strumenti, adesso ne possiedo tre. Un Sadowsky
completamente in acero, modello Marcus Miller, che ha un suono
squillante e profondo ed è perfetto per le situazioni un po’ più
“aggressive”. Poi ci sono i due fretless - i bassi più
espressivi - dove ogni nota non è mai uguale all’altra. Sono
anche gli strumenti che prediligo! Precisamente si tratta di un Wal,
basso inglese che ho inseguito per parecchio tempo ed un Mari di
Redivivus, strumento di grandi prestazioni prodotto da una ditta
torinese di cui sono endorser da qualche anno.
Spesso sei chiamato a lavorare come arrangiatore.
Quando hai capito di avere questa qualità?
Mah, io non parlerei esattamente di qualità. Ho
un approccio verso l’arrangiamento decisamente poco ortodosso.
Più volte mi sono trovato a ragionare con gli altri musicisti sugli
aspetti armonici e ritmici dei brani, cercando la posizione delle
note nello spazio e non solo specificamente quali di esse. I passi
seguenti sono stati, a poco a poco, quelli di suggerire un pattern
di batteria e, di seguito, un certo tipo d’intervento della
chitarra o della tastiera, sempre con attitudine istintiva. Ha
funzionato e così sono diventato un arrangiatore.
Dimmi il titolo di qualche brano di cui sei
particolarmente orgoglioso per la partitura di basso.
Non è facile poterti rispondere. Quando chiudo
una partitura penso di aver fatto, comunque, del mio meglio. Così
è ovvio che tutti i brani finiscono per soddisfarmi più o meno
nella stessa misura. Solo il consenso esterno mi fa rilevare la
differenza. Il giudizio positivo d’altri musicisti ti fa
analizzare il lavoro da una diversa angolazione, aiutandoti a
leggere quel qualcosa in più che potresti aver dato. Questo è
successo, ad esempio, con Aria di te, un brano degli Avion
Travel apparso su “Opplà”. La parte di basso ha riscosso
favorevoli consensi per essere avvolgente e caratterizzata da una
certa libertà di sequenza. Ricordo molta partecipazione anche per Sarà
così una canzone d’Eduardo De Crescenzo che sta su “Cante
jondo”. E’ una specie di blues non blues con una partitura
obliqua, che guadagna spazio e forza nel contesto generale del
brano.
Hai sempre suonato e/o arrangiato musica di altri
o ti sei cimentato anche con progetti personali?
Lavorare su brani altrui mi è indubbiamente più
congeniale. Il distacco che ho dalle canzoni mi consente una visione
più oggettiva del loro peso specifico. Ovviamente per arrivare a
questo devi stare in laboratorio con le tue cose, affrontando,
comunque, una ricerca non necessariamente finalizzata a qualcosa. E’
un po’ come forgiarsi un metro di misura per poi andare a valutare
tutto il resto. Naturalmente in queste ricerche mi riconosco in
pieno ed ora inizio ad avere l’esigenza di realizzare qualche
progetto personale…
…questo vuol dire che in futuro potremo
ascoltare un tuo disco...
Nel medio periodo, penso di sì. Senza alcuna
presunzione di farlo diventare oggetto da classifica, semplicemente
per il gusto di far ascoltare ad altri alcune mie idee musicali.
Un’ultima domanda. La scorsa estate hai fatto
parte della giuria di un festival rock per emergenti tenutosi a
Caserta. Come vedi il panorama musicale cittadino?
Innanzitutto posso fare un confronto in termini
generazionali e affermare che la scena musicale è maturata molto.
In linea generale, c’è molta più organizzazione, un livello
esecutivo notevole e molte proposte mi sembrano interessanti. Il
rischio è che i musicisti cadano nella trappola che il panorama
musicale generale tende loro. L’esigenza di triturare e consumare
tutto in breve tempo fa sì che un solista o un gruppo qualsiasi,
dopo sei mesi, sia già in grado di produrre un disco ben fatto, con
delle idee all’interno e suonato in maniera eccellente. L’utilità
di affrontare una ricerca musicale e umana mi sembra decisamente
venuta meno, innescando quel processo di appiattimento che riguarda
parecchi settori della musica. Sono convinto che un progetto maturo
e duraturo si realizzi attraverso l’incontro di persone che
tentino di sintonizzarsi fra loro, cercando una profondità d’assieme
che non sia solo artistica. Per fare questo ci vuole tempo. Non so
quanto, ma sei mesi certamente non bastano!
Di seguito è riportata una rassegna, non
esaustiva ma rappresentativa, dell’attività discografica svolta
da Vittorio Remino.
AVION TRAVEL, “Sorpassando”, Ira,
1986;
NINO BONOCORE, “Una città tra le mani”,
Emi, 1987;
AVION TRAVEL, “Perdo tempo”, Bubble,
1988;
JAMES SENESE, “Ehi James”, La
Canzonetta, 1989;
AVION TRAVEL, “Bellosguardo”, Sugar,
1990;
ENZO GRAGNANIELLO, “Fujente”,
Polygram, 1990;
EDUARDO DE CRESCENZO, “Cante jondo”,
Ricordi, 1991;
AVION TRAVEL, “Opplà”, Sugar, 1993;
NINO BONOCORE, “Un po' di più”,
Emi, 1993;
EDUARDO DE CRESCENZO, “Danza Danza”,
Fonit Cetra, 1993;
EDUARDO DE CRESCENZO, “Live”, Jungla
Bmg, 1995;
SAL DA VINCI, “Un po' di noi”, Bmg
Ricordi, 1996;
GIGI FINIZIO, “Finizio”, Fonit
Cetra, 1996;
ANGELA MURO, “Extraño mineral”,
Sony Spain, 1998;
TEMPLO, “Cantos que te llegan alma”,
Emi, 1999;
AUDIO 2, “Audio 2mila”, Sony Music,
2000;
ALESSIO BONOMO, “La rosa dei venti”,
Sugar Universal, 2000;
GIGI FINIZIO, “Come intendo io”,
Duck, 2002. |